BULGARIA" "" "

Si salvarono 50.000 ebrei

Proposto il Nobel per la pace 2013 alla Chiesa ortodossa

La Chiesa ortodossa bulgara è stata proposta per l’assegnazione del premio Nobel per la pace 2013 per il suo consistente contributo nel salvataggio dei 50mila ebrei bulgari dallo sterminio durante la Seconda guerra mondiale. La proposta viene dal deputato bulgaro Latchezar Toshev, membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nell’anno in cui la Bulgaria celebra il 70° anniversario da questo evento storico. "La Chiesa ortodossa bulgara – secondo Latchezar Toshev – è l’unico ente religioso che dichiarò apertamente la sua posizione in un territorio alleato di Hitler". "È un esempio che dimostra che persone di religioni diverse possono schierarsi a difesa dell’altro rischiando la propria sorte – dice a Iva Mihailova, di Sir Europa, il membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa – e questo può essere d’incoraggiamento per quanti prendono le decisioni oggi, di non aver paura nel difendere le posizioni giuste, nonostante il prezzo anche alto da pagare".

L’appoggio della comunità ebraica. La proposta è pienamente appoggiata anche dalla comunità religiosa ebraica perché "la Chiesa ortodossa bulgara – sostiene il presidente della Comunità religiosa degli ebrei in Bulgaria, Robert Djerassi – ha avuto un ruolo di primo piano nel salvataggio degli ebrei, soprattutto nella sua gerarchia, vedi l’esarca Stefan e il metropolita di Plovdiv Kiril". "Kiril andava nella scuola dove avevano portato gli ebrei – prosegue Djerassi – e disse che si sarebbe sdraiato sulle rotaie per non far partire i treni".

La storia. Il 9 marzo 1943, 8mila ebrei bulgari vengono arrestati nei maggiori centri urbani. La decisione assunta dai vertici del Commissario per le questioni ebree, prevede la deportazione verso i campi di concentramento in Polonia, un primo passo in seguito al quale sarebbe seguita la partenza dalla Bulgaria di altri 35mila ebrei. "Tutto ciò si svolse nel massimo segreto, all’insaputa del Parlamento e della maggior parte del governo che, pur filonazista, fino a quel momento si era mostrato abbastanza titubante nelle questioni semitiche", ricorda la storica dell’Archivio statale bulgaro Ivanka Gezenko che sottolinea anche il ruolo del vicepresidente del Parlamento bulgaro Dimiter Pescev. "Allarmato dai suoi amici ebrei, preparò una dichiarazione per l’annullamento dell’ordine di deportazione, firmata da 43 parlamentari della maggioranza". Messo alle strette dal crescente dissenso popolare, il re Boris III fermò il processo e dopo un ordine telefonico, gli ebrei, già riuniti nelle stazioni, si sentirono dire di tornare a casa.

Una vicenda poco conosciuta. "Per tanti anni questo fatto storico non è stato reso noto al mondo – dice Djerassi – si sa del salvataggio degli ebrei danesi ma quello che successe in Bulgaria è diverso, è un esempio unico". "La mia proposta per il premio Nobel – aggiunge il membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa Latchezar Toshev – ha lo scopo anche di far conoscere questa storia". "Si trattò di un’ondata di difesa degli ebrei che coinvolse tutto il popolo e implicò anche azioni concrete", afferma Djerassi che ricorda il fatto che "in quegli anni difficili i bulgari furono l’unico popolo europeo che si oppose al desiderio di sterminio degli ebrei". A confermarlo sono anche le parole dell’Ambasciatore tedesco Bekerle nel 1943: "La società bulgara non capisce il senso della lotta contro gli ebrei e ancora di più le questioni razziali non gli sono chiare di natura". "Questa posizione che all’epoca mirava a mettere i bulgari in cattiva luce – spiega Toshev – oggi suona come un complimento per la tolleranza della nazione bulgara che accettava le differenze etniche come normali". "I gerarchi ortodossi non si sono fatti intimidire dall’ideologia fascista – commenta Djerassi – e hanno dimostrato che la tolleranza e l’amore verso il prossimo sono molto più forti dell’antagonismo, dell’odio e della xenofobia". "Il coraggio dei prelati ortodossi può servire come esempio anche nella società odierna – conclude Toshev – perché oggi, chiedersi come vivere insieme nell’Europa del 21° secolo, come s’intitolava una delle campagne del Consiglio d’Europa, è più che necessario".