LA CAMPAGNA ''UNO DI NOI''

Ciascuno di noi è stato un embrione

È possibile trovare nella Sacra Scrittura preziose indicazioni che motivano sentimenti d’ammirazione e di riguardo nei confronti dell’uomo appena concepito

"La coscienza morale di ciascuno si sente obbligata dalla cosiddetta regola aurea della morale: non fare agli altri quanto non vorresti fosse fatto a te; dove gli altri sono intesi essere dei nostri simili. Ebbene, dal momento che ciascuno di noi è stato un embrione – ed è pure passato attraverso la fase precoce del proprio sviluppo embrionale – non si può non sentire che l’embrione è un nostro simile, e trovare in questo fatto la ragione sufficiente per adottare un atteggiamento di rispetto e di cura nei suoi confronti".
Era il 1996 e il Parlamento italiano si apprestava a scrivere una legge che fermasse il far-west della provetta, così il Comitato Nazionale di Bioetica, su incarico del Governo, aveva studiato la questione della identità e dello statuto dell’embrione umano. Si trattava di riconoscere chi sia l’embrione umano e come debba essere trattato; dall’ampia discussione ne uscì un testo ricco ed equilibrato: all’embrione è dovuto il rispetto di persona, perché ciascuno di noi è stato embrione e nessuno avrebbe voluto, in quella fase delicata, essere manipolato o, peggio ancora, essere distrutto. La regola aurea di sempre doveva essere ora applicata anche all’essere umano nella fase iniziale del suo sviluppo.
La vita umana prenatale è un argomento affascinante, ma anche impegnativo, considerata la delicata natura del soggetto in esame; tante discipline vi si applicano utilmente, così che oggi sappiamo molto, molto di più di quando un tempo si riteneva l’embrione fosse solo un grumo di sangue. Anche il pensiero cristiano ha fatto la sua parte.

Come si può ben comprendere, né la Sacra Scrittura né la Tradizione cristiana più antica possono contenere trattazioni esplicite del tema. Ciononostante, San Luca nel raccontare l’incontro della Madre di Gesù, che lo aveva concepito nel suo seno verginale solo da pochi giorni, con la madre di Giovanni Battista, già al sesto mese di gravidanza, testimonia la presenza attiva, sebbene nascosta, dei due bambini: "Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo" (Lc 1,41). Sant’Ambrogio commenta: Elisabetta "percepì l’arrivo di Maria, lui (Giovanni) l’arrivo del Signore; la donna l’arrivo della donna, il bambino l’arrivo del bambino" (Comm. in Luc., 2,19.22-26).
Pur in mancanza di espliciti insegnamenti sui primissimi giorni di vita del nascituro, è possibile trovare nella Sacra Scrittura preziose indicazioni che motivano sentimenti d’ammirazione e di riguardo nei confronti dell’uomo appena concepito. I libri sacri, infatti, intendono mostrare l’amore di Dio verso ciascun essere umano ancor prima del suo prender forma nel seno della madre. "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu venissi alla luce, ti avevo consacrato" (Ger 1,5), dice Dio al profeta Geremia. E il Salmista riconosce con gratitudine: "Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo" (Sal 139,13-14). Sono parole, queste, che acquistano tutta la loro ricchezza di significato quando si pensa che Dio interviene direttamente nella creazione dell’anima di ogni nuovo essere umano.

"L’amore di Dio – ha detto Benedetto XVI – non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza (Gn 1,26)" (Discorso, 26 febbraio 2006). Non fa differenza perché in tutti ravvisa riflesso il volto del suo Figlio Unigenito, in cui "ci ha scelti prima della creazione del mondo, … predestinandoci a essere suoi figli adottivi… secondo il beneplacito della sua volontà" (Ef 1,4-6). Questo amore sconfinato e quasi incomprensibile di Dio per l’uomo rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione: intelligenza, bellezza, salute, giovinezza, integrità e così via. In definitiva, la vita umana è sempre un bene, poiché "essa – scriveva Giovanni Paolo II – è nel mondo manifestazione di Dio, segno della sua presenza, orma della sua gloria" (Evangelium vitae, 34). All’uomo, infatti, è donata un’altissima dignità, che ha le sue radici nell’intimo legame che lo unisce al suo Creatore: nell’uomo, in ogni uomo, in qualunque stadio o condizione della sua vita, risplende un riflesso della stessa realtà di Dio. Per questo il Magistero della Chiesa ha costantemente proclamato il carattere sacro e inviolabile di ogni vita umana, dal suo concepimento sino alla sua fine naturale.

Un insegnamento, quello della Chiesa che trova sempre maggiori consensi nell’ambito culturale: il fatto di non essersi mai rassegnata ad un minimo cedimento o permissione nei confronti del rispetto alla vita umana nascente è stata una scelta profetica, segno di autentico progresso. In questo senso la fede ha aiutato la ragione, perché la Parola di Dio e la Tradizione della Chiesa hanno mantenuto quel senso di rispetto per la vita umana nascente, che oggi trova sempre più consensi tra coloro che seguendo la ragione, cioè i risultati della scienza, giungono ad affermare che l’embrione è uno di noi.

Marco Doldi

(06 maggio 2013)