COMPLICI LE CASTE

Nell’India del boom” “14 milioni” “di moderni schiavi

Già dalla nascita, i “paria” o “intoccabili”, si ritrovano con debiti tramandati di generazione in generazione (sarebbero tra i 20 e i 65 milioni gli indiani in questa condizione). Non si tratta solo di lavoro forzato, ma anche di sfruttamento dei bambini, di traffico di esseri umani, di impiego di bambini-soldato, di matrimoni combinati e prostituzione. La terribile condizione delle giovani donne operaie

In India si chiamano "dalit" o "paria". Sono i fuori casta nel sistema sociale e religioso induista. In italiano si usa il termine "intoccabili", ma è inesatto, la traduzione corretta è "oppressi". Perché l’intoccabilità – collegata al fatto che in passato svolgevano attività considerate impure, come le pulizie, la concia delle pelli, la manipolazione dei cadaveri – è stata formalmente abolita dalla Costituzione, nel 1950. Tuttavia, pregiudizi e forti discriminazioni permangono. E stiamo parlando di quasi 14 milioni di persone. Se una ragazza appartenente ad una delle quattro caste in cui è divisa la società (dall’altro al basso: sacerdoti, guerrieri, artigiani e mercanti e servi), s’innamora di un "paria", può incappare in una gamma di punizioni, da parte dei suoi stessi familiari, che arriva fino all’omicidio, com’è capitato qualche settimana fa nel villaggio di Seevalaperi, nel Tamil Nadu (paria è il singolare della parola rapaiyar, il gruppo etnico dalit più diffuso in questo stato), nel sud dell’India. Gomathi, 17 anni, è stata impiccata in casa dai fratelli, proprio perché si era rifiutata di rinunciare a sposare un giovane "paria". Era scappata di casa, ma i familiari l’avevano rintracciata e convinta a tornare promettendole di assecondare i suoi desideri. Invece, è stata uccisa e i fratelli, poi, hanno cercato di far credere che si fosse trattato di un suicidio.

Condizioni di lavoro gravissime nelle fabbriche tessili. I "paria", soprattutto i più giovani, sono prede preferite dagli sfruttatori, che li costringono ai lavori più umili, nelle fabbriche tessili, per esempio, dove sono impiegate circa 35 milioni di persone (l’India è il secondo Paese esportatore di filato tessile dopo la Cina). Soprattutto nel territorio del Tamil Nadu, la maggior parte dei lavoratori sono giovani donne di età compresa tra 14 e 25 anni – la manodopera è al 50% al di sotto dell’età minima prevista dalla legge indiana – del gruppo dei "paria", e provenienti da zone lontane. Sono reclutate da intermediari, che propongono loro un contratto di apprendistato o qualche altra forma contrattuale, per un impegno di lavoro che può variare dai 3 ai 5 anni, terminati i quali, queste donne ricevono una somma che costituisce una dote. I rapporti di numerose organizzazioni internazionali documentano che le condizioni di lavoro in queste aziende sono pesantissime, con turni massacranti, deficit di sicurezza e vessazioni continue, compresa l’impossibilità per le operaie di vedere i loro cari. Il Global Slavery Index 2013 ha realizzato il primo "Indice della schiavitù mondiale", pubblicato dall’Organizzazione non governativa australiana Walk Free Foundation. Rileva che la maggior parte dei 14 milioni di dalit, già dalla nascita si ritrova con debiti tramandati di generazione in generazione (ma, più in generale, sarebbero 65 milioni gli indiani che vivono in condizioni di "schiavitù"). Il rapporto parla, non solo di lavoro forzato, ma anche di sfruttamento dei bambini, traffico di esseri umani, impiego di bambini-soldato, matrimoni combinati e prostituzione. La Banca mondiale ha calcolato che, nel 2012, il 32.7% della popolazione indiana viveva sotto la soglia di povertà (1.25 dollari al giorno); causa principale del fenomeno è considerato proprio il perdurare, nel sistema sociale (nonostante – come detto – l’abolizione costituzionale), della suddivisione in caste. Ma il rapporto addita come causa anche la corruzione di agenti di polizia e dipendenti pubblici.

Sette Stati asiatici sono fra i primi dieci che usano gli schiavi. L’India è un paese che sulla carta ha buone leggi che regolano il lavoro, ma le norme si scontrano con l’impossibilità di farle rispettare. Così si perpetuano abusi e malversazioni. I suddetti 14 milioni di dalit costituiscono quasi la metà degli "schiavi" del mondo (30 milioni): con questo bel primato, l’India si situa al primo posto della classifica. Nella top ten ci sono altri sei Stati asiatici: Cina, Pakistan, Russia, Thailandia, Birmania e Bangladesh.