Palliazione domiciliare
Filippo Boscia, presidente nazionale dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci), esclude un processo di liberalizzazione di questi farmaci. Piuttosto si chiede se “una prescrizione facilitata di questo tipo di farmaci a livello nazionale” non debba prevedere “un’omogeneità di terapia, non a macchia di leopardo”. Conferma dell’attenzione del mondo cattolico al tema del dolore
Il Governo ha deciso, ieri, di non impugnare la legge numero 4 promulgata il 4 gennaio scorso dalla regione Abruzzo, intitolata “Modalità di erogazione dei farmaci e dei preparati galenici magistrali a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche”. Sulla decisione, che conferma l’orientamento all’uso di cannabis per uso terapeutico, abbiamo interpellato Filippo Boscia, presidente nazionale dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci).
Professore, come valuta questa decisione del Governo?
“La giudico in modo positivo. Il problema si deve inquadrare non tanto sul discorso cannabis e dolore, ma su quello del rispetto della centralità dei pazienti, in situazioni d’inguaribilità, che hanno un diritto inalienabile a essere assistiti, anche attraverso la palliazione. Questi preparati che rientrano nella disciplina degli stupefacenti non sono mai stati ammessi alla medicina di base, ma sono stati da sempre utilizzati nell’ambito degli ospedali e nelle strutture assimilabili, come le case di cura. In un percorso di deospedalizzazione di patologie croniche incurabili e di riassegnazione alle famiglie della cura di tali pazienti, credo che questa possibilità di terapie non vada vista in modo negativo”.
L’uso di cannabinoidi è, quindi, utile per questo tipo di pazienti?
“Direi indispensabile. Il problema è che la scala di monitoraggio del dolore non è stata applicata da alcun ospedale, mentre da lì si deve partire: cos’è il dolore, qual è la gradualità del dolore, com’è possibile che un medico a livello domiciliare si occupi di questo e come può valutare il tipo di dolore. È vero che nel passato ci sono state delle prese di posizione del Governo negative rispetto a realtà regionali che avevano preso iniziative di questo genere, ma in quei casi non avevano tenuto presente le alternative terapeutiche. Il problema è fare dei percorsi di aggiornamento nei quali si parta da alternative terapeutiche di primo livello, poi di secondo e terzo livello per arrivare, solo alla fine, alle terapie di stupefacenti. È necessaria tanta formazione”.
Non c’è il rischio di un abuso di questi farmaci?
“Molti considerano che queste prescrizioni del medico di base possano costituire un ‘over treatment’, un andare oltre alle funzioni assegnate ai medici. Certo, dobbiamo restare molto prudenti verso un abuso di questi preparati, perché un utilizzo di tal fatta degli stupefacenti è assolutamente disdicevole. Se, invece, su un piano terapeutico redatto dallo specialista, il medico di base fa la prescrizione, credo che questo sia miglioramento della qualità dell’assistenza in Italia. Dal momento in cui è stata approvata la legge sulle cure palliative, nel 2010, e ancora prima dal 2007 quando l’allora ministro della Salute Livia Turco ha dato un indirizzo di principio a livello regionale, è stato fatto poco. A mio avviso, è molto importante sottolineare il diritto del paziente a essere curato a livello domiciliare e il suo diritto alle cure palliative, ma questo prevede, da parte dei medici, formazione, aggiornamento e informazione”.
La legge abruzzese parla non solo di farmaci ma anche di preparati galenici…
“Infatti, queste norme non riguardano solo i prodotti industriali, ma anche i preparati galenici realizzati dai farmacisti su prescrizione medica: a maggior ragione, su questo argomento non possiamo avere tante leggi regionali che ridisegnano la sanità. La regionalizzazione dell’assistenza è positiva, ma in questo caso servono delle norme del ministero della Salute. Le Regioni dovrebbero partire da una linea d’indirizzo nazionale, per poi regolarsi a livello locale per porre i costi di questa terapia a carico del Servizio sanitario regionale. Insomma, una prescrizione facilitata di questo tipo di farmaci pretende che a livello nazionale ci sia un’omogeneità di terapia, non a macchia di leopardo”.
Non c’è il rischio che passi l’idea di una liberalizzazione dei farmaci a base di stupefacenti?
“Lo spirito della legge non è questo. Non sono assolutamente medicinali che possono essere distribuiti ‘a gogò’. Oltre la formazione dei medici, occorre la corretta informazione. La stampa ha semplicisticamente riportato: ‘Anche il medico curante può prescrive i cannabinoidi’. Non è così! Il medico di base può prescriverli a partire da un piano terapeutico redatto da uno specialista, che è in grado di graduare i percorsi terapeutici”.
Un medico cattolico guarda il dolore non solo da un punto di vista fisico…
“Consideriamo anche il significato antropologico del dolore e del conforto che bisogna dare alla persona sofferente. In una visione globale non dobbiamo limitarci solo a somministrare una cura medica per il dolore, occorre somministrare amore e conforto al malato e sostenere la famiglia; c’è bisogno di una grande integrazione tra i sistemi di sanità e di sostegno. A questo proposito, voglio anticipare una notizia: dal 16 al 18 maggio abbiamo organizzato, come Amci, a Roma, un convegno nazionale sul dolore. Nell’Aula San Pio X, in Vaticano, si rifletterà sul dolore nelle sue varie forme: il dolore nei bambini, nei post-traumatizzati, nei malati terminali e l’assistenza alle famiglie”.