Campania/Analisi del voto
Mario Di Costanzo, responsabile della formazione socio-politica dell’arcidiocesi di Napoli: “L’idea che tutto il male è nella classe politica e tutto il bene possibile nella società civile è fuorviante. È chiaro che abbiamo un basso tasso di qualità nel ceto politico, ma abbiamo anche una società civile nella quale la grande assente è la cultura della cittadinanza, dei diritti e dei doveri”. Le responsabilità dei cattolici
Le elezioni regionali in Campania hanno incoronato presidente Vincenzo De Luca, uno dei dodici “impresentabili” tra i candidati in Campania, compresi nella lista diffusa poco prima del voto dalla presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi. Ma non è stato l’unico dei presenti nella lista degli “impresentabili” ad avere avuto tanti voti. Oltre a lui sono stati eletti altri due: Alberico Gambino e Luciano Passariello. Non ce l’ha fatta a tornare in Consiglio Sandra Lonardo, moglie dell’ex ministro Mastella, ma ha comunque superato le diecimila preferenze. Un altro dato, in linea con quanto avvenuto nel resto d’Italia, è il forte astensionismo: in Campania ha votato il 51,93% degli aventi diritto. Nella precedente tornata elettorale per il Consiglio regionale campano, nel 2010, aveva votato il 62,96%. Commentiamo questi risultati con Mario Di Costanzo, responsabile della formazione socio-politica dell’arcidiocesi di Napoli.
Balza agli occhi l’aumento dell’11% dell’astensionismo rispetto alle regionali del 2010…
“È un dato che fa riflettere perché un fenomeno di questo genere implica un serissimo rischio di tenuta democratica del Paese. Qualcuno mi ha detto di non essere andato a votare perché riteneva che nulla potesse cambiare. È il clima politico che ha contribuito alla disaffezione dei cittadini dal voto, anche a livello regionale. D’altra parte, è significativo che in Campania e in Puglia hanno vinto due ex sindaci: poter vantare un’esperienza di responsabile dell’ente locale che più di tutti è accanto ai cittadini li ha avvantaggiati come indice di vicinanza alle persone”.
Le persone non hanno votato perché non si sono sentite rappresentate?
“Bisognerebbe capire in base a quali logiche sono state formate le liste dei partiti. Il problema non è di tipo giudiziario, ma di cultura politica. Quando di una persona si dice che è molto radicata sul territorio si usa un’espressione ambigua che, in Campania, sta per faccendiere. Già nel documento dei vescovi del 1989 su Chiesa e Mezzogiorno c’è la denuncia di questo sistema clientelare. Ci sono, infatti, delle anomalie: il segretario regionale del partito conta più del capogruppo regionale, che si deve adeguare alle scelte del segretario. Questo significa affidare la gestione della cosa pubblica non a un Consiglio regionale democraticamente eletto, ma a delle associazioni private quali sono i partiti, che hanno anche un codice etico, che non ha un’efficacia vincolante”.
In Campania c’è stato un numero record di candidati “impresentabili”: com’è possibile?
“Torniamo al discorso di prima. Si tratta di persone molto radicate sul territorio, ma nessuno si chiede come si procurano tanti consensi. Questo è un problema di etica politica. Allora, l’astensione di tanti è un’autentica denuncia, della quale, purtroppo, al sistema partitico non importa niente”.
C’è un altro aspetto, però: alcuni “impresentabili” hanno ricevuto moltissimi voti. Allora, non è solo un problema di partiti che li candidano, ma anche di cittadini che li premiano…
“Evidentemente in Campania c’è un elettorato fortemente clientelare, al quale non interessa che i candidati abbiano delle pendenze giudiziarie. Questo fatto è l’espressione di un degrado della politica e anche della cosiddetta società civile. L’idea che tutto il male è nella classe politica e tutto il bene possibile nella società civile è fuorviante. È chiaro che abbiamo un basso tasso di qualità nel ceto politico, ma abbiamo anche una società civile nella quale la grande assente è la cultura della cittadinanza, dei diritti e dei doveri. Dovremmo fare anche un esame di coscienza nel mondo cattolico, perché della necessità di un impegno dei cattolici ha parlato Papa Francesco, ma anche in passato Giovanni Paolo II. L’aver dato poca considerazione a questi moniti ha come conseguenza una società civile debole culturalmente; per quanto riguarda il mondo cattolico, questo significa ignorare la Dottrina sociale della Chiesa”.
L’elezione di De Luca a presidente della Regione Campania quali scenari apre?
“È una situazione imprevedibile. Non credo che si prospetti la possibilità di nuove elezioni, come ipotizzato da qualcuno, ma bisognerebbe cercare degli escamotages giuridicamente sostenibili. Certo, sarebbe un’enormità modificare la legge Severino per salvare De Luca, perché sarebbe incoerente con la battaglia del Pd contro Berlusconi e le leggi ad personam”.
I campani quale frutto possono auspicare da queste elezioni?
“Innanzitutto, una gestione corretta della cosa pubblica. Dobbiamo sperare che il nuovo Consiglio approvi leggi in sintonia con i bisogni espressi dal territorio e non con le esigenze delle clientele presenti sul territorio, evitando la frantumazione dei fondi europei in una miriade di rivoli che servono ad accontentare solo una serie di clientele. I fondi europei dovrebbero essere utilizzati per grandi progetti di sviluppo, ad esempio sul versante del turismo”.
Per invertire una visione politica legata solo al proprio tornaconto, ha ruolo importante il laicato cattolico?
“Certamente. Un esempio positivo per queste ultime elezioni regionali viene dalla Delegazione campana dell’Azione cattolica, che ha diffuso un documento nel quale si parla di politica in modo serio, facendo un ragionamento al di là delle logiche degli schieramenti, ma bisognerebbe sapere quanti soci di Azione cattolica in Campania conoscono quel documento. Il problema, insomma, è far entrare nel tessuto vivo della comunità cristiana questa sensibilità. Ora ci sono dei segnali di risveglio, anche se c’è stata per anni disattenzione verso questi temi”.