EDITORIALE
L’estate ha portato all’effettivo varo del prestito da 86 miliardi per consentire ad Atene di risalire la china. Ora la palla è nel campo greco
Ufficialmente si chiama “programma di sostegno alla stabilità”. Nei fatti è una (nuova) mano tesa dall’Europa comunitaria per tirar fuori la Grecia dalla palude della recessione economica e dalla instabilità finanziaria, che in questi anni hanno portato via ampia parte del potere d’acquisto delle famiglie elleniche. Il 20 agosto, dunque, dopo un accidentato percorso politico durato un mese e mezzo, la Commissione Juncker ha firmato con il governo di Atene il protocollo d’intesa per un programma triennale del valore di 86 miliardi di euro, dando seguito a una decisione dei capi di Stato e di governo dell’Eurozona. Ottenendo tale prestito, la Grecia dovrà attuare “le riforme necessarie per affrontare le sfide socioeconomiche fondamentali”, specificate nello stesso protocollo d’intesa e negoziate a luglio dal premier Alexis Tsipras.
Secondo gli uffici della Commissione, “dopo mesi di intensi negoziati, il programma contribuirà a porre fine all’incertezza, nonché a stabilizzare la situazione economica e finanziaria, e assisterà la Grecia nel suo ritorno a una crescita sostenibile basata su finanze pubbliche sane, sul rafforzamento della competitività, sul buon funzionamento del settore finanziario, sulla creazione di posti di lavoro e sulla coesione sociale”. Praticamente un miraggio per un Paese piegato dalla disoccupazione, segnato da una povertà crescente, e ora chiamato ancora una volta alle urne dopo le dimissioni dello stesso Tsipras, rese la settimana scorsa allo scopo di ottenere dagli elettori un mandato forte, necessario per intraprendere le riforme “lacrime e sangue”, ritenute la sola via d’uscita per evitare il default e risalire, col tempo, la china.
Saranno ancora la Commissione Ue, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale (la vecchia e odiata “troika”) a vigilare sull’attuazione delle riforme: privatizzazioni, riforma delle pensioni, dimagrimento della pubblica amministrazione, aumenti dell’Iva, tagli ai privilegi e alle esenzioni fiscali, sistema bancario sotto tutela europea. Il vice presidente della Commissione, responsabile per l’euro e il dialogo sociale, Valdis Dombrovskis, che ha materialmente firmato il protocollo d’intesa a nome dell’Esecutivo di Bruxelles, ha commentato: “Con il sostegno del programma, le autorità greche hanno la possibilità di ripristinare la fiducia reciproca e la stabilità finanziaria, due elementi indispensabili per far ripartire la crescita dell’economia nazionale. Ora è fondamentale attuare rapidamente le riforme concordate, perché questo consentirà alla Grecia di ripristinare la competitività e di garantire una crescita sostenibile”.
Al di là delle dichiarazioni ufficiali dal taglio piuttosto benevolo, gli sviluppi della situazione greca restano legati all’attuazione delle riforme. Tanto è vero che una “valutazione dell’impatto sociale del programma”, prodotto dalla Commissione nello stesso giorno della firma del protocollo”, avverte: “Se saranno attuate integralmente e tempestivamente, le misure previste aiuteranno la Grecia a ritornare alla stabilità e alla crescita in modo finanziariamente e socialmente sostenibile nonché a far fronte alle sfide sociali più urgenti”. La condizionalità è evidente.
La Commissione ha anche esplicitato gli obiettivi sui quali si dovrebbero concentrare gli aiuti finanziari che arriveranno nelle casse greche nei prossimi tre anni. Ad esempio: “concentrare i risparmi nei settori che non hanno un’incidenza diretta sul reddito del cittadino, come la riduzione della spesa per la difesa, oppure ovviare alle inefficienze in molti settori della spesa pubblica”; “andare contro i privilegi acquisiti, ad esempio eliminando gradualmente i trattamenti fiscali favorevoli per gli armatori o gli agricoltori o le numerosissime esenzioni e sovvenzioni ingiustificate”; “lottare contro la corruzione, l’evasione fiscale e il lavoro nero”. E in positivo: “introdurre gradualmente un reddito minimo garantito e assicurare l’accesso universale all’assistenza sanitaria”; “garantire che lo sforzo richiesto a ciascuno sia proporzionato al suo reddito”; “sostenere il ruolo delle parti sociali e la modernizzazione del sistema di contrattazione collettiva” (cioè una riforma del mondo del lavoro). Occorre inoltre ricordare che il 15 luglio la Commissione aveva dato il via a uno specifico “piano di occupazione e crescita” da 35 miliardi per “investire nelle persone e nelle imprese” entro il 2020.
È chiaro che i problemi greci non scompariranno come per incanto nel giro di pochi mesi, ma si può legittimamente sostenere che la solidarietà europea si sia finalmente espressa per il futuro del Paese mediterraneo. Alla cui responsabilità stanno ora la maggior parte delle chances per uscire dal tunnel.