POLONIA
Da Paese di emigrazione a nazione chiamata ad aprire le porte a profughi ucraini e mediorientali. Don Cislo: aiuti concreti e ruolo educativo della Chiesa
“Sono forse due milioni in Polonia gli immigrati illegali dall’Ucraina”, afferma don Waldemar Cislo, a capo della sezione polacca dell’organizzazione “Aiuto alla Chiesa che soffre” che, collaborando con la Caritas, si occupa dei profughi. “Solo nella regione di Varsavia ce ne sono almeno 40mila”, aggiunge – intervistato da Anna T. Kowalewska per Sir Europa -, sottolineando che l’integrazione dei profughi ucraini è “molto più facile rispetto agli esuli dal Medio Oriente in guerra”. Fino a poco tempo fa la Polonia era un Paese di emigranti e adesso per la prima volta nella sua storia si trova nella situazione di dover accogliere immigrati e profughi. “Il nostro non è però un Paese interessante per loro dal punto di vista economico”, osserva don Cislo, poiché “sia i salari che gli aiuti dello Stato sono sensibilmente inferiori rispetto a quelli che si possono ottenere in Germania o in Gran Bretagna”.
La Polonia, secondo gli accordi di Bruxelles, dovrebbe accogliere duemila profughi dal Medio Oriente. Quanti ne sono finora arrivati?
“Ci sono già alcune centinaia di persone. Ma al momento non è stato creato da parte del ministero degli Interni alcun gruppo di lavoro specifico per l’accoglienza. La Chiesa con la sua esperienza può del resto aiutare ad affrontare il problema dell’inserimento degli immigrati. Bisogna eliminare il pregiudizio che vede nello straniero un terrorista; è una visione alimentata anche dai messaggi che arrivano all’opinione pubblica attraverso i media che parlano delle donne jazide violentate o vendute come schiave, dei cristiani cacciati da Mosul, dei bambini trucidati senza pietà. I profughi vanno aiutati perché sono persone che cercano di salvare la loro vita. E penso la Chiesa abbia da svolgere un grande ruolo educativo: mostrare che lo straniero non sempre è ‘cattivo’. Il nostro compito è quello di insegnare che non tutti i musulmani sono terroristi, e che molte persone in pericolo di vita non vogliono avere nulla a che fare con l’islam aggressivo”.
Come s’iscrive in questa missione la Giornata di solidarietà con le Chiese perseguitate celebrata in Polonia dal 2009?
“Abbiamo tre obiettivi: preghiera, informazione e aiuto materiale. In ogni parrocchia preghiamo e raccogliamo i fondi. Prima ancora, sempre attraverso le parrocchie, cerchiamo di informare e far sì che chiunque vada in chiesa venga sensibilizzato e prenda conoscenza delle sofferenze altrui. La Giornata che sarà celebrata a novembre avrà come tema il dramma della Siria. Avremo anche la visita del patriarca Laham di Antiochia dei Melchiti perché vogliamo essere vicini a coloro che sono oggi nella situazione più difficile. Nel passato con una raccolta di fondi su scala nazionale i fedeli polacchi hanno finanziato un campo a Erbil nel Kurdistan iracheno. La nostra solidarietà però va intesa anche come accompagnamento. Cerchiamo di mostrare ai cristiani nei territori in guerra che per noi sono importanti. Ci hanno detto sia in Iraq che in Egitto che il fatto che a tante migliaia di chilometri di distanza qualcuno preghi e si preoccupi per loro ha un grande valore. Un altro aspetto è la sensibilizzazione a livello internazionale per ciò che riguarda la sorte dei cristiani nel mondo affinché ci si renda conto che sono il gruppo religioso più perseguitato di tutti. Molto importanti da quel punto di vista sono gli appelli di Papa Francesco, perché la sua voce è molto sentita anche dai media laici e dai non credenti”.
Qual è il modo migliore per aiutare i cristiani del Medio Oriente?
“Quello che avviene a Mosul o in Siria è genocidio. Come cristiani abbiamo il dovere di aiutare coloro che sono vittime di tante persecuzioni. La Chiesa in Polonia è però convinta che dobbiamo aiutarli soprattutto sul posto. Così tra l’altro ha formulato la sua richiesta anche il patriarca Sako quando è venuto da noi in visita. Bisogna fare di tutto affinché questi territori non vengano svuotati dalla presenza cristiana. Lì il cristianesimo ha una lunghissima tradizione e costituisce un patrimonio di grande importanza. Quando, insieme al presidente dei vescovi polacchi monsignor Stanislaw Gadecki, a febbraio siamo stati a Baghdad, il patriarca Sako ha sottolineato il valore degli aiuti materiali ma con forza ha ribadito il significato della presenza fisica di monsignor Gadecki a riprova di un fraterno interessamento alla Chiesa in Iraq”.
La Polonia non potrebbe accettare più profughi dal Nord Africa?
“Mancano a livello europeo delle soluzioni sistemiche e credo che la signora Merkel abbia ragione quando dice che l’Europa non è in grado di accogliere tutti gli immigrati dal Nord Africa. Ne dobbiamo essere consci. La maggior parte dei 20 milioni di siriani vorrebbe emigrare e ci sono anche decine di migliaia di iracheni che vorrebbero lasciare il loro Paese. Dobbiamo rispondere onestamente alla domanda se l’Europa è in grado di accogliere tutte queste persone. Se la risposta è sì, occorre aprire le frontiere e aiutare tutti. Ma forse il nostro vero dovere è di fare in modo che tutta questa gente non abbia più bisogno di scappare per salvare la vita”.