Quale umanesimo?
Quattro contributi: il tessuto delle relazioni, la mistica del popolo, il rapporto con i beni e la rappresentazione simbolica dell’umano. L’invito dell’arcivescovo di Napoli, Crescenzio Sepe: ”Bisogna far cadere quelle mura delle chiese che separano l’edificio sacro dalla vita che si svolge fuori. Non basta andare in chiesa per essere buoni cristiani. Nel tempio dobbiamo riempirci di Dio per portarlo fuori”
“Quale umanesimo cristiano in terra campana?”: a questo interrogativo ha cercato di dare una risposta, stamattina, il convegno organizzato dalla Conferenza episcopale campana (Cec), a Pompei, come tappa regionale del cammino di preparazione al V Convegno ecclesiale di Firenze. Al centro della discussione quattro temi: il tessuto delle relazioni, la mistica del popolo, il rapporto con i beni e la rappresentazione simbolica dell’umano.
Ricomporre l’armonia tra divino e umano. “Abbiamo bisogno del recupero di una dimensione umana del nostro essere cristiani – ha affermato il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e presidente della Cec -. Bisogna far cadere quelle mura delle chiese che separano l’edificio sacro dalla vita che si svolge fuori. Non basta andare in chiesa per essere buoni cristiani. Nel tempio dobbiamo riempirci di Dio per portarLo fuori”. “Ricomporre l’armonia tra divino e umano com’è incarnato in Gesù è il nostro compito”, ha chiarito. “Chi segue Cristo diventa più uomo”, ha dichiarato monsignor Tommaso Caputo, arcivescovo prelato di Pompei, che ha anche ricordato che il 25 settembre sarà aperta a Pompei la quarta casa di carità rivolta a bambini disabili.
Artigiani di comunione. Dall’ascolto delle esperienze delle diocesi campane, Pina De Simone, rappresentante del laicato nella delegazione regionale per Firenze 2015, ha offerto una fotografia della realtà. “È una terra contraddistinta da disoccupazione, precarietà, povertà di relazioni, ma anche da segni di bene: senso di famiglia e comunità, attenzione alle risorse locali, desiderio di apertura al trascendente”, ha rilevato, portando l’esempio della “nuova cooperazione organizzata”, che si sta realizzando ad Aversa e in altre zone. Ha poi inquadrato “la nostra Chiesa in questa terra: un patrimonio di fede, di vita e di storia condivisa di cui far memoria e da valorizzare”, perché “ancora oggi è il lievito che fa crescere la nostra realtà”. De Simone ha poi concentrato l’attenzione “sulla parrocchia e la famiglia”. La prima è “il luogo dove i bisogni dei più deboli trovano risposte”; la seconda “continua a essere luogo di educazione alla fede, malgrado le contraddizioni che l’attanagliano”. Infine, uno sguardo sulle “attese e prospettive di futuro per questa Chiesa”: “Occorre uscire dal recinto per porsi sul territorio come artigiani di comunione, lavorando con tutte le risorse presenti per mettere a sistema il bene”.
Una forma da valorizzare. Don Emilio Salvatore, rappresentante del clero nella delegazione regionale, ha affrontato il tema della “mistica del popolo”: pietà popolare, fede e religiosità. “La religiosità popolare – ha fatto notare – ha alcune caratteristiche importanti: semplicità, immediatezza, risposta a bisogni fisici e spirituali. Tutto ciò esprime una dimensione antropologica a 360 gradi”. Per questo, “la religiosità popolare è una forma di umanesimo cristiano da valorizzare”. Don Salvatore ha invitato a “evitare di leggere in modo formale la pietà popolare affinché non diventi uno scheletro senz’anima”. Un esempio positivo di pietà popolare è costituito dal santuario mariano di Pompei, che rappresenta “una storia di umanizzazione del territorio”. Il relatore ha anche lanciato la proposta di un laboratorio permanente sulla religiosità popolare alla Facoltà teologica di Napoli.
Potenzialità e complessità. Alla luce di due parole-chiave – giustizia e responsabilità – Mario Di Costanzo, rappresentante del laicato nella delegazione regionale per Firenze, ha letto i contributi di alcune diocesi, mettendo in risalto “le grandi potenzialità della Campania, la molteplicità e la complessità dei problemi emergenti, la famiglia, la cura dell’ambiente, legalità e criminalità, la consapevolezza di un’assunzione di responsabilità da parte della comunità cristiana e segnatamente del laicato, la necessità di forti investimenti sul versante della formazione”. Di Costanzo ha portato l’esempio della Penisola sorrentina, “un territorio unico al mondo”, dove, però, “non mancano elementi di preoccupazione”, come “lo sfruttamento dei lavoratori, la trappola dell’usura, il gioco d’azzardo, l’alcool e la droga”, o di Castellammare di Stabia, dove “una cattiva gestione del territorio e il malaffare hanno soffocato la città”. Altro tema affrontato la cura dell’ambiente, tema “molto avvertito” in Campania. In proposito ha ricordato ad Acerra “la costituzione dell’Ufficio unico per l’educazione alla giustizia, custodia e salvaguardia del Creato”. La questione ambientale rinvia, poi, al tema della legalità e della criminalità.
Arte e fede. La rappresentazione simbolica dell’umano è stato il tema affrontato da Giorgio Agnisola, critico d’arte, che ha evidenziato come “nelle opere d’arte del Meridione l’incontro tra l’umano e il divino raggiunga vertici altissimi di partecipazione e densità spirituale”. Ha portato il caso emblematico di Sant’Angelo in Formis, vicino Capua, dove “maestranze locali, chiamate dall’abate Desiderio, dipinsero con uno stile più vicino alla sensibilità popolare, dando il là al romanico umanizzato”. Ha poi parlato del “legame tra arte e sentimento religioso in Campania: intercessioni, misericordia, gratitudine, devozione hanno trovato eco nella pittura, nelle arti decorative, nell’artigianato, negli ex-voto”. In Campania, dunque, “c’è una grande testimonianza di un’arte vivificata dalla fede”. L’arte, allora, “diventa una via di rinnovamento del nostro sentire religioso, attraverso una pedagogia delle immagini”. Le conclusioni sono state affidate a monsignor Antonio Di Donna, vescovo di Acerra e delegato Cec per il Convegno di Firenze: “In questi mesi c’è stato un cammino nelle nostre Chiese di inculturazione del tema scelto per Firenze, contestualizzandolo nel tessuto regionale”. Di qui la scelta dei quattro temi affrontati, che ha riletto anche alla luce dei cinque verbi della Traccia di Firenze.