Consacrati
Il ministro generale fr. Michael Perry, confermato in carica fino al 2021, spiega la stagione di profondo rinnovamento che stanno vivendo i Frati minori: “Il Papa ha indicato chiaramente cosa si attende: una Chiesa povera con i poveri. Abbiamo tante strutture e ricchezze ma dobbiamo diventare poveri con i poveri per creare una nuova relazione con loro”. E abbandonare anche certe chiusure “parrocchiali”
La qualità evangelica delle relazioni fraterne, il rapporto con i laici, la missione, il rischio dell’imborghesimento e la capacità di vivere con i poveri. Quello che si è tenuto prima dell’estate ad Assisi è stato un Capitolo generale impegnativo per i Frati minori, che si sono confrontati con temi gravosi contenuti in un Instrumentum laboris frutto del lavoro di anni. “Avere un Papa che, primo nella storia della Chiesa, ha scelto il nome di Francesco è per noi una grande sfida”, confida il ministro generale fr. Michael Perry confermato in carica fino al 2021. Nato a Indianapolis ma di sangue irlandese, come rivelano gli occhi cerulei, fr. Perry sta accompagnando con determinazione e pragmatismo gli oltre 10mila confratelli in una stagione di rinnovamento. “Il Papa ha indicato chiaramente cosa si attende: una Chiesa povera con i poveri. Abbiamo tante strutture e ricchezze ma dobbiamo diventare poveri con i poveri per creare una nuova relazione con loro”.
In che modo si può stare accanto ai poveri?
“La povertà non è qualcosa da valorizzare ma i poveri esistono. Nel Vangelo di Marco è scritto: ‘I poveri li avrete sempre con voi’. Mi viene da pensare che se Gesù avesse avuto tempo per aggiungere qualcosa, forse avrebbe detto: ‘Perché voi non volete cambiare il vostro stile di vita’. Per essere frati minori dobbiamo modificare i nostri comportamenti.
Papa Francesco sta riprendendo le idee del cristianesimo delle origini. La Chiesa non deve essere una presenza potente ma umile. E la sua condotta è di esempio per tutti noi”.
Vivere in una tranquillità borghese è un pericolo per la vita dei frati…
“È un rischio percepito dagli stessi frati, che mette in crisi l’identità stessa della nostra vocazione. Siamo chiamati a rendere concreta la misericordia di Dio con atti di giustizia e carità. Ci sono almeno due medicine per curare questa malattia. La prima è stare con i poveri, vivere tra i sofferenti. I poveri non sono un’entità astratta ma hanno un nome, provengono da una famiglia, hanno dei figli, cercano ogni giorno di lavorare per migliorare la qualità della loro vita. E noi dobbiamo stare lì. Se verremmo accompagnati dai poveri, riscopriremo la bellezza della vocazione francescana”.
E il secondo rimedio?
“Aprirci alla Parola di Dio che non si trova soltanto nella Bibbia ma anche nella Eucarestia della vita delle persone che incontriamo ogni giorno. Bisogna aprire le porte per accogliere il mondo. Dobbiamo entrare in ascolto e in dialogo con la Chiesa e con le persone”.
Parrocchie e santuari sono luoghi in cui si concentra l’attività pastorale dei frati. Perché?
“I frati rispondono alle richieste delle Chiese locali. Oggi, però, è tempo di cambiare. Nel corso degli anni abbiamo assunto una logica ‘parrocchiale’ che dobbiamo rompere. La richiesta del Papa di uscire è la stessa rivolta da Francesco d’Assisi ai suoi frati. È difficile essere pellegrini quando abbiamo queste responsabilità, che sono senz’altro importanti. Ma anche nelle parrocchie e nei santuari dobbiamo ripensare la presenza coinvolgendo i laici e permettendo loro di essere veri promotori del Vangelo. Ad esempio, non capisco perché dobbiamo tenere noi le chiavi della chiesa quando essa appartiene alla gente…”.
Dunque una valorizzazione dei laici?
“Per noi frati minori, ma per tutta la Chiesa, è fondamentale ripensare il ruolo dei laici.
Nelle comunità francescane dei santuari e delle parrocchie dobbiamo preparare i laici, la cui importanza è decisiva per la Chiesa. San Francesco era solito prendere con sé anche i laici – uomini e donne – che, con il permesso del vescovo, facevano catechesi e predicavano. Non vedeva ostacoli nel consentire la predica alle donne, che hanno una diversa sensibilità e prospettiva”.
C’è però un rischio che deriva dal clericalismo per i laici e per la vita di fraternità…
“Il clericalismo danneggia la dignità della vocazione dei laici nella Chiesa e nel piano di Dio. Anche noi siamo chiamati a una conversione in tal senso. La Chiesa ci ha chiesto di assumere tante responsabilità. A volte, però, abbiamo portato avanti la pastorale in modo caotico con conseguenze negative per la vita fraterna. È importante, allora, riscoprire la qualità della vita fraterna affinché possa essere offerta ai laici. Il mondo cerca la fraternità, basta guardare ai conflitti in famiglia o in politica. E noi abbiamo l’onere di essere testimoni di Francesco d’Assisi. Sarebbe un regalo per il mondo di oggi”.
È difficile guidare un numero tanto grande di confratelli in 110 Paesi?
“Non mi sento in grado ma è una gioia conoscere la vita dei frati, la maggior parte dei quali vive il Vangelo in profondità. Recentemente sono stato a Hong Kong dove i frati svolgono attività pastorale con 4mila cristiani cinesi che partecipano ogni settimana alla vita comunitaria. Hanno paura di ciò che potrà accadere dopo le elezioni del 2017 ma conservano una fede salda. A Taiwan, invece, i frati cinesi sono a servizio dei poveri in parrocchie dove i sacerdoti diocesani non vogliono andare. Sono queste le testimonianze di cui abbiamo bisogno. Da ministro generale voglio lavare i piedi dei frati per permettere loro di lavare i piedi degli altri. Credo sia il modo migliore di vivere il discepolato di Cristo. Sono un peccatore, con tanti limiti, ma è una grazia essere al servizio dei frati. Sono umano e per questo mi sento bene tra i miei frati, perché anche loro sono umani”.