EMERGENZA RIFIUTI

Sui termovalorizzatori “braccio di ferro” tra Governo e Regioni

Attualmente gli impianti in esercizio sono 41, di cui 13 in Lombardia, 8 in Emilia, 5 in Toscana e 1 o 2 nelle altre regioni esclusa la Sicilia. Con i nuovi 12 richiesti e i 6 autorizzati e non in esercizio, il totale salirebbe a 59, soglia di sicurezza secondo l’esecutivo. Ma le resistenze sono altissime, proprio laddove ce ne sarebbe più bisogno, Sud in testa. I casi limite di Campania e Sicilia

La notizia del rifiuto da parte di vari governatori delle regioni italiane del piano messo a punto dal Governo per realizzare 12 nuovi termovalorizzatori (nome nuovo per i vecchi "inceneritori"), è di quelle che non stupiscono. Attualmente gli impianti in esercizio sono 41, di cui 13 in Lombardia, 8 in Emilia, 5 in Toscana e 1 o 2 nelle altre regioni esclusa la Sicilia. Con i nuovi 12 richiesti e i 6 autorizzati e non in esercizio, il totale salirebbe a 59, soglia di sicurezza secondo il governo. Una coscienza ecologista molto spinta e ipersensibile, i diffusi pregiudizi sulla supposta pericolosità di questi impianti, l’atteggiamento ormai presente anche da noi del cosiddetto "nimby" (acronimo inglese "Not In My Back Yard", cioè "non nel mio cortile") oltre all’interesse dei partiti di tenersi buone le ali più protestatarie dell’opinione pubblica a fini elettorali, rendono pressoché impossibile realizzare qualsivoglia grande opera pubblica, se non dopo estenuanti e lunghissime trattative (la Tav insegna). Queste le regioni coinvolte nel piano: Liguria, Veneto, Piemonte, Toscana (2 impianti), Umbria, Marche, Campania, Abruzzo, Puglia e Sicilia (2 impianti). La "solita" regione Lombardia non è nella lista perché vanta il curioso primato di avere una capacità di incenerimento eccedente del 30% rispetto a quanto conferito (547.402 tonnellate disponibili) e quindi potrebbe trattare, ad esempio, i rifiuti di quasi tutta la Sicilia (699.000 tonn.) che di impianti non ne ha nessuno. Obiettivo Ue: zero rifiuti in discarica. Questa volta il Governo sembra intenzionato a fare sul serio. Lo ha spiegato il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti nei giorni scorsi, discutendo il piano coi governatori. A suo avviso l’esigenza dei nuovi inceneritori "non nasce da un capriccio bensì da una realtà molto drammatica, che costa all’Italia centinaia di migliaia di euro al giorno di multe da parte della Ue". Il ministro ha ricordato come da noi oggi il 40% dei rifiuti finisce in discarica, e al Sud tale percentuale lievita fino all’80% medio. L’obiettivo indicato a livello europeo sarebbe del 65% di raccolta differenziata e il resto all’incenerimento (35%) con zero in discarica, un traguardo dal quale l’Italia è lontanissima. Basti pensare che Napoli, nonostante l’impianto di Acerra, manda buona parte dei rifiuti a essere distrutti negli inceneritori del Nord Europa, con costi enormi; Roma li spedisce per lo più agli inceneritori del Nord Italia; la Sicilia addirittura li seppellisce per il 90% col rischio di ricadute ambientali devastanti per il prossimo futuro. I casi esemplari di Svezia, Austria, Olanda. È chiaro che una situazione del genere non è degna di un Paese civile e avanzato come l’Italia vorrebbe essere. Tra l’altro lo stesso ministro ha fatto notare come "attuare un ciclo di rifiuti industriali, con la differenziata al 65%, vorrebbe dire trarre grossi benefici economici dal processo di riciclo, e contenere sempre più il rifiuto da incenerire". Negli altri Paesi europei, spesso additati come esempi di rispetto per l’ambiente, c’è molto più pragmatismo: la Svezia, da tutti elogiata, è ben contenta di importare i rifiuti italiani per bruciarli. Ci guadagna, fa business e non è certo un Paese che ‘avvelena’ i suoi cittadini. Anzi! L’Austria ha quasi eliminato le discariche e ha costruito addirittura termovalorizzatori in città, tra cui nella capitale Vienna, senza scandali e rischi per la salute, ricavandone energia elettrica. Da noi a Brescia funziona da decenni, in prossimità della città, uno dei termovalorizzatori più grandi d’Europa, costantemente studiato dai ricercatori universitari e che soddisfa da solo circa un terzo del fabbisogno di calore dell’intera città. Senza parlare di altre città del nord Europa (vedi Amsterdam) dove funziona un sistema di raccolta dei rifiuti sotterraneo particolarmente efficiente. Insomma, mentre noi siamo ancora alle puzzolenti, pericolose, equivoche discariche, gestite a volte da vere e proprie "lobby" dei rifiuti, altrove si sono dimenticati da decenni della parola "cassonetti" che invece infestano ancora le nostre città. Quale futuro per le "ecoballe" campane? L’opposizione ambientalistica o ideologica ai termovalorizzatori non tiene conto, tra l’altro, del fatto che proprio in Svezia, già citata, comunque si incenerisce al momento il 52% dei rifiuti raccolti, mentre la differenziata è al 47% tra riciclo e materiale per "compost" (quello che noi chiamiamo "umido"). Alla fine in discarica va solo l’1% contro il 90% della Sicilia! La Germania è ancora più avanti perché brucia il 35% dei rifiuti irrecuperabili e ne ricicla il 65% avendo di fatto azzerato le discariche. Il ministro, difendendo il piano governativo dei 12 nuovi inceneritori, ha detto che "i Paesi europei con più alta percentuale di differenziata sono anche quelli con più alto numero di impianti". In Italia il caso più clamoroso di discarica a cielo aperto è rappresentato dai 5milioni e 600mila tonnellate di ecoballe stoccate tra Giugliano e Villa Literno in Campania. Il nuovo governatore della Regione, Vincenzo De Luca, rifiuta la proposta di costruire un nuovo inceneritore e vorrebbe 600 milioni dal governo per fare incenerire le ecoballe per un terzo fuori dalla Campania; un altro terzo trattarlo con un impianto Stir (stabilimento di tritovagliatura e imballaggio rifiuti) da costruire ex-novo e il rimanente distruggerlo nello Stir che è in funzione a Caivano. Il fatto è che per questa sola situazione l’Italia paga 120mila euro al giorno di multa alla Ue, cioè 4,4 milioni di euro l’anno. In 20 anni si sarebbe già costruito un nuovo inceneritore per la Campania, del quale c’è tanto bisogno. Quindi, nel braccio di ferro tra Governo e Regioni, si vedrà quali richieste di correzioni al proprio piano il governo Renzi sarà disposto ad accogliere, oppure se alla fine farà la voce grossa e procederà d’imperio (riforma delle Regioni permettendo).