RIUNIFICAZIONE, 25 ANNI DOPO

Germania ricca e potente, mai del tutto al sicuro…

Innanzitutto la “questione orientale”, non del tutto risolta. Resta tuttora, in molti cittadini dell’est, la sensazione di essere stati “annessi” più che “riunificati”. Poi il “terremoto Volkswagen”, che mette a dura prova non soltanto sul piano economico-industriale la credibilità tedesca. E ancora: la politica ondivaga sui migranti che, oltretutto, ha conseguenze anche sull’ordine pubblico

La settimana delle celebrazioni è passata. La Germania ha ricordato con solennità quel 3 ottobre 1990 che sancì la ricomposizione del Paese, senza però nascondersi le sfide che il presenta lancia alla Repubblica federale. Nella principale manifestazione, a Francoforte sul Meno, la cancelliera Angela Merkel ha parlato della riunificazione come di un "capolavoro politico", il capo dello Stato, Joachim Gauck (a suo tempo uno dei protagonisti nella Rdt dell’azione popolare che portò al crollo del Muro di Berlino), ha ammonito a risolvere oggi, ma non da soli, il problema dei migranti, come ieri si è risolto quello dell’unificazione.
È stato tutto un susseguirsi di rallegramenti, dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, ai personaggi che all’epoca svolsero un ruolo, ai rappresentanti dei Paesi amici e no, agli esponenti del mondo religioso: il presidente dei vescovi cattolici, il cardinale di Monaco di Baviera Reinhard Marx, con il suo omologo protestante Heinrich Bedford-Strohm, hanno sottolineato in un messaggio comune che "la recente storia della Germania è un successo, nonostante tutte le differenze che esistono a vari livelli, in particolare economico e sociale". E quest’ultimo inciso suona come un avvertimento.
Perché, chiusa la festa, i problemi restano. E sono quelli che la stampa tedesca e l’opinione pubblica registrano molto realisticamente. Al di là del fatto che la Germania può vantare il 20 per cento del Pil dell’Unione europea con il 6 per cento della popolazione, si sottolineano le preoccupazioni di Gauck che sembra consapevole della permanenza di uno squilibrio sociopolitico del Paese, ancora divaricato fra ovest ed est. Perché la "questione orientale" non è del tutto risolta e, nonostante il fiume di marchi (un tempo) e di euro (oggi), i piatti della bilancia pendono sempre a favore dell’ex Germania occidentale.
Resta tuttora, in molti cittadini dell’est, la sensazione di essere stati "annessi" più che "riunificati". Non è scomparso quel "muro dello spirito" che fa dire al 37 per cento degli ex tedesco-orientali fra i 35 e i 50 anni (cioè la parte più dinamica della popolazione) che preferirebbe ancora vivere nella Rdt. Con un riscontro immediato in politica: per numero di deputati è al terzo posto nel Bundestag quella sinistra, die Linke, erede del partito comunista dell’est e che lì ha la sua riserva elettorale.
Altre nubi si addensano sul presente tedesco e se ne è consapevoli. Dal "terremoto Volkswagen", che mette a dura prova non soltanto sul piano economico-industriale la credibilità tedesca (ma vanno ricordati anche i meno recenti casi della Siemens e del mai terminato aeroporto di Francoforte, cui si aggiungono oggi sospetti di poca chiarezza sulla Deutsche Bank), alla politica ondivaga sui migranti che, oltretutto, ha conseguenze anche sull’ordine pubblico. A differenza delle violenze sino a oggi solo verbali di cui siamo testimoni in Italia, in alcuni Laender l’avversione ai rifugiati si esprime in veri e propri atti criminali. Nel 2014 gli assalti, le aggressioni (con morti e feriti) e gli incendi sono stati 175; nella prima metà del 2015 se ne sono contati altrettanti con una preoccupante, ulteriore moltiplicazione, sollecitata dall’estrema destra, e che, specialmente in Bassa Sassonia, nel Brandeburgo e in Renania fa presa sulla gente, normalmente moderata. Con qualche conseguenza politica non di poco conto: il malumore di una parte della maggioranza nei confronti della Merkel, in caduta nei sondaggi, e le incertezze nell’elettorato socialdemocratico che contesta alcune scelte dei dirigenti.
Senza contare l’inquietudine, più sotterranea ma palpabile negli ambienti politici, per il nuovo dinamismo della Russia di Vladimir Putin che preme dalle parti dei confini orientali, a partire dalla situazione in Ucraina, e che costringe Berlino a un mutamento di strategia e a un aumento delle spese militari. Non senza un occhio all’eventuale coinvolgimento nella crisi mediorientale in quanto membro della Nato. Così il dopo venticinquennio nasce all’ombra del dubbio: il successo di allora va gestito con prudenza e saggezza perché neanche la ricca, potente Germania si sente al riparo dal colpo di vento delle crisi.