INCIDENTI SUL LAVORO

Superare la crisi non significa aiutare l’illegalità

Per la prima volta, dal 2006, le morti sul lavoro sono in aumento. Monsignor Fabiano Longoni (Cei): “È un picco che non si poteva aspettare. Se l’unica causa dovesse essere la ripresa del lavoro, ciò significa che dobbiamo essere molto guardinghi a livello di tenuta sociale”. Giuseppe Farina (Cisl): “Questo aumento è un segnale molto preoccupante perché vuol dire che l’opera di prevenzione e di intervento continua a non essere sufficiente”

Domenica 11 ottobre si è celebrata la 65ª Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro. Per la prima volta, dal 2006, le morti sul lavoro sono in aumento. La situazione del fenomeno infortunistico, stando agli ultimi dati provvisori Inail relativi al periodo 1° gennaio-31 agosto 2015, evidenziano un significativo aumento dei casi mortali passati da 652 nei primi 8 mesi del 2014 a 752 nello stesso periodo del 2015 (+15%). Nel 2015 sono 623 quelli registrati nel settore industria e servizi, 104 in agricoltura, 25 per conto dello Stato. Per quanto riguarda le aree i morti sono stati 173 nel Nord Ovest, 157 nel Nord Est, 190 nel Centro, 167 nel Sud e 65 nelle Isole. Le donne sono 67, gli uomini 685; 639 sono italiani, 45 provenienti dall’Unione europea (esclusa Italia), 68 sono di provenienza extra Unione europea. Le fasce di età più a rischio sono 45-49 (121 morti), 50-54 (133), 55-59 (100).

Essere guardinghi. "Speriamo che questo aumento di infortuni con esiti mortali sia un caso isolato". È l’auspicio di monsignor Fabiano Longoni, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei. "È un picco – prosegue – che non si poteva aspettare. Se l’unica causa dovesse essere la ripresa del lavoro, ciò significa che dobbiamo essere molto guardinghi a livello di tenuta sociale, nel senso che riprendere il lavoro e superare la crisi non significa aiutare l’illegalità e il non controllo di quelli che sono gli standard di sicurezza". Monsignor Longoni avanza anche il dubbio che all’interno di questi fatti "ci siano anche situazioni riguardanti gli immigrati, non totalmente socializzati con la realtà italiana. Molti di questi incidenti, quindi, potrebbero essere legati a persone che hanno una cultura diversa e che, per questo, devono essere integrate anche nella cultura della sicurezza del lavoro". A questo si aggiunge, poi, la "possibilità di sfruttamento del lavoro nero".

Segnale preoccupante. "Non è un caso che, in coincidenza con una fase di ripresa economica e anche industriale, torni a crescere il numero degli infortuni sul lavoro. La riduzione degli incidenti anche mortali, negli anni passati, è stata legata anche al calo di lavoro per la crisi. Infatti, si è lavorato significativamente di meno anche in settori molto esposti, come l’edilizia", osserva Giuseppe Farina, segretario confederale della Cisl, con delega alla salute e sicurezza, ambiente e industria. Adesso che siamo in una fase di ripresa, soprattutto nelle aree del Centro-Nord, "questo aumento della mortalità sul lavoro è un segnale molto preoccupante perché vuol dire che l’opera di prevenzione e di intervento, che pure tutti quanti siamo impegnati a realizzare, nei fatti, dal punto di vista dell’efficacia continua a non essere sufficiente".

Contrastare il lavoro nero. C’è un altro tema da affrontare: "L’illegalità nel lavoro, problema mai superato – sottolinea Farina -. Non è un caso che la maggiore incidenza sia legata al settore edile più esposto al rischio del lavoro irregolare. In questo senso, è necessario un impegno straordinario di tutti – del Governo, degli amministratori locali, delle prefetture e anche del sindacato – per ridimensionare il lavoro nero e le attività illegali perché sono totalmente fuori controllo. È difficile che un’azienda, che lavora fuori dall’ambito della legalità, possa applicare le regole severe che pure ci sono". I settori più a rischio sono "l’agricoltura, l’edilizia e in parte l’industria". Il sindacato sui temi della sicurezza sul lavoro è "sempre molto attento", ma, in generale, "anche su questi temi la crisi può aver lasciato qualche segno, perché quando c’è una ripresa si rischia di essere più concentrati sul lavoro che non sul rispetto delle regole. Gli stessi lavoratori, pur di avere un’occupazione, possono essere più disponibili a fare cose rischiose". Per Farina, comunque, "non c’è bisogno di particolari leggi speciali: le normative ci sono, la legislazione è robusta". Le fasce di età dove si registrano più morti sono quelle comprese tra i 45 e i 59 anni. "Ciò dimostra – conclude Farina – che l’età avanzata è un fattore di rischio. Questo dovrebbe suggerire al Governo di trovare una soluzione per la riforma delle pensioni. Poi, non c’è stato il ricambio generazionale, con uno spostamento verso l’alto dell’anzianità media dei lavoratori italiani".