Polonia
La democrazia funziona (più o meno e quasi sempre) così: il popolo vota e sceglie, e poi affida le proprie decisioni a Parlamenti ed esecutivi eletti e delegati a governare. I polacchi, alle urne domenica 25 ottobre, hanno premiato il partito conservatore Diritto e giustizia (PiS), presentatosi al giudizio dei cittadini con un programma che comprende la difesa degli interessi nazionali, prevalenti rispetto alla collocazione europeista, la tutela delle tradizioni e dei valori nazionali, il sostegno all’economia reale, maggiore spesa pubblica, la chiusura delle frontiere ai migranti, l’irrigidimento delle posizioni anti-russe.
Il nuovo capo del governo a Varsavia sarà Beata Szydlo. Eppure, commentando l’esito del voto, l’ex presidente della Repubblica polacca Aleksander Kwasniewski ha spigolosamente affermato che nel Paese “ci sarà un uomo solo al comando”, riferendosi al leader del PiS, Jaroslaw Kaczynski, in passato alla guida del Paese accanto al gemello Lech, morto in un incidente aereo in Russia in circostanze mai del tutto chiarite.
Resta il fatto che, dopo quasi un decennio di destra moderata alla guida della Polonia, con un Pil in crescita da anni, si registra una profonda svolta nazionalista (e lo si può scrivere in tutta serenità perché dai vincitori questa linea è stata sbandierata per tutta la campagna elettorale). Occorre prendere atto di quanto liberamente deciso dal popolo polacco, annotando peraltro una certa tendenza dell’Europa centro-orientale ad assumere la medesima direzione: più Stato, più nazione, integrazione europea guardata con sospetto, no a migranti e profughi.
Con minor sospetto sono invece guardati in Polonia gli abbondanti finanziamenti Ue che, dall’atto di adesione nel 2004, hanno preso la strada di Varsavia… “Pecunia non olet” dicevano gli antichi romani, ma pare che il detto abbia attecchito anche a est.
Si tratta, quindi, di verificare la reale volontà della Polonia di proseguire la marcia all’interno dell’Unione europea, oppure se prevarranno le tendenze alla disgregazione e all’antieuropeismo, le quali trovano seguaci numerosi in tutt’altre realtà geografiche e politiche: basti pensare al Regno Unito del premier David Cameron, all’Ungheria di Viktor Orban, a non poche frange della Grecia attualmente governata dalla sinistra di Syriza, ai movimenti regionalisti o esplicitamente no-Europa che albergano in Spagna, in Italia, in alcuni Stati del nord (Svezia, Danimarca, Finlandia), nella destra lepenista in Francia e così via. Ciascuno, infatti, è libero di decidere a casa propria. Ma se si sceglie di far parte di una “casa comune”, allora esistono regole (i Trattati) che devono essere rispettate, oppure modificate di comune accordo. Perché l’Europa “à la carte” non esiste ancora.