Tecnologia
Catalin Voss è un giovanissimo studente tedesco dell’università americana di Stanford. Geniale e precocissimo, ha brevettato un’applicazione che permette di riconoscere le emozioni tramite le espressioni facciali. L’applicazione funziona con gli occhiali “computerizzati”. Con altri ricercatori ha preparato un software per dare ai bambini che soffrono di autismo una “esperienza di apprendimento interattivo”
Si parla molto di autismo. Qualche volta anche a sproposito. I dati sulla diffusione della malattia, infatti, sono spesso contrastanti. I metodi per la diagnosi e le terapie, inoltre, per il momento sono ancora incerti e contraddittori. Nonostante una certa confusione sull’argomento, c’è però una maggiore consapevolezza, rispetto anche a soli pochi anni fa. Uno dei risultati positivi di questo “fuoco” di attenzione sul dramma dell’autismo è che anche altri settori della scienza cominciano ad interessarsene. La notizia proveniente dagli Usa, quindi, non dovrebbe stupire e suscita più di un motivo di ottimismo per i genitori di bambini che soffrono di autismo.
Un’app che “cattura” le emozioni. Catalin Voss è un giovanissimo studente tedesco dell’università americana di Stanford. Geniale e precocissimo, Voss ha brevettato un’applicazione che permette di riconoscere le emozioni tramite le espressioni facciali. L’applicazione funziona con i Google Glass, gli occhiali “computerizzati” ai quali molti laboratori in tutto il mondo stanno lavorando alacremente da almeno tre anni. Lo scopo dell’invenzione di Voss era legato a funzioni di intrattenimento. Nella prima “release” del brevetto, infatti, la funzione non era stata elaborata per possibili applicazioni nel campo della medicina. Chi indossava gli occhiali, sul mini schermo davanti all’occhio destro, riceveva alcune informazioni sullo stato d’animo (sorpresa, disgusto, felicità, eccetera) dell’interlocutore che si trovava davanti. In gergo tecnico, la tecnologia è stata chiamata “face-and-eye-tracking”. I primi test ne hanno verificato l’efficacia e Voss è riuscito così a vendere il primo brevetto originario ad una società giapponese che si occupa di sistemi di sicurezza per la guida. Una telecamera montata sul cruscotto permetterà di vedere se il guidatore è distratto o si sta per addormentare. Il software, allora, potrà intervenire con alcune azioni, fino a rallentare e fermare la corsa dell’automobile.
Apprendimento interattivo per i bimbi autistici. Nel laboratorio di Stanford, però, il giovanissimo Voss ha maturato ambizioni più grandi. Ha cominciato così a collaborare con il laboratorio di ricerca sull’autismo guidato dal professore Dennis Wall. Il progetto è ancora allo stato embrionale ma sta già cominciando a dare i primi frutti. Insieme con il medico Nick Haber, Voss e il professor Wall hanno preparato un software per dare ai bambini che soffrono di autismo una “esperienza di apprendimento interattivo”. Indossando i Google Glass, attrezzati con l’applicazione di Voss, i bambini sono invitati, per esempio, a trovare qualcuno che sia felice. Quando guardano qualcuno che sorride, l’applicazione riconosce l’azione e consegna un “premio”. La stessa applicazione funziona anche come un sistema di monitoraggio dei risultati raggiunti dal bambino e registra un diagramma della quantità e della qualità dei progressi. Il gruppo di ricerca guidato da Voss ha già testato il software in un laboratorio con circa quaranta bambini. In queste settimane hanno iniziato un esperimento in larga scala e l’applicazione, insieme con i Google Glass, è stata affidata a un centinaio di famiglie con bambini autistici. L’obiettivo è di capire che tipo di risultati si potrebbero ottenere nella realtà quotidiana, fuori dall’asetticità di un laboratorio.
Interesse e dubbi. Nonostante l’interesse e, in qualche caso, anche l’entusiasmo che questa sperimentazione sta suscitando nell’ambiente medico americano, non tutti sono d’accordo sulle reali prospettive di successo della tecnologia “face-and-eye-tracking”. Steve Silberman, autore del libro “NeuroTribes: The Legacy of Autism and the Future of Neurodiversity” dice che il software potrebbe non essere così efficace come appare. “Il problema è che gli autistici potrebbero non essere in grado di individuare gli schemi delle emozioni e delle espressioni umane”, ha spiegato. Quello di Voss non è l’unico progetto in corso. Anche Ned Sahin, un neuroscienziato, sta studiando un’applicazione per i Google Glass per aiutare i bambini autistici ad imparare almeno alcune delle competenze necessarie per interagire con gli altri. Sahin sta testando il suo software con i bambini in tutto il Paese e sta progettando di aprire un proprio studio clinico proprio a Stanford.