Referendum
Francis Campbell, ex ambasciatore britannico presso la Santa Sede, vicerettore dell’università cattolica londinese di st.Mary’s, chiarisce le ragioni della distanza fra l’isola e la “casa comune”. Attesa per la lettera di Cameron alle istituzioni comunitarie
“Britain Stronger In Europe”, “Vote Leave” e “Leave.Eu”. Con il lancio, questo autunno, dei tre gruppi di pressione – il primo a favore e gli altri due contro la presenza della Gran Bretagna nell’Unione europea –, la campagna pro e contro il Brexit è partita. Per lo status quo si sono schierati molti intellettuali e una buona parte del mondo degli affari, mentre la fetta più euroscettica del partito conservatore e la formazione nazionalista Ukip, guidata da Nigel Farage, vogliono che la Gran Bretagna abbandoni gli altri 27 Paesi dell’Ue. Tutti attendono la lettera che il premier David Cameron invierà al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, nella quale spiegherà, con chiarezza, che cosa vuole ottenere da Bruxelles prima di fissare la data del referendum in cui chiederà ai cittadini se vogliono rimanere o andarsene dall’Unione. Nel frattempo il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, nella sua visita in Germania, ha affermato il 3 novembre, dinanzi agli imprenditori tedeschi, che Londra vuole un’Europa “a due velocità”. Che in realtà già esiste, considerando il diverso grado di integrazione tra Eurozona e l’Unione nel suo insieme. Sui possibili sviluppi della situazione si esprime Francis Campbell, nordirlandese, ex ambasciatore britannico presso la Santa Sede, oggi vicerettore dell’università londinese di st.Mary’s, uno dei cattolici più stimati del Regno Unito.
Professor Campbell, quale potrebbe essere a suo avviso il risultato del referendum?
“Ovviamente è impossibile dirlo, ma se non ci sarà una maggioranza convincente a favore della presenza della Gran Bretagna nell’Unione europea, o se addirittura oltre il 50% degli elettori volesse andarsene, sarà a rischio il futuro di questo Paese e la sua posizione nel mondo.
La Cina, gli Stati Uniti e i nostri alleati più importanti hanno dichiarato di non essere interessati a una Gran Bretagna al di fuori dell’Unione europea. Inoltre se la maggioranza degli elettori scegliesse di andarsene dall’Europa, la Scozia, che invece intende restarvi, indirebbe subito a sua volta un referendum. A quel punto gli elettori scozzesi potrebbero scegliere di staccarsi dal Regno Unito, dando vita a una Scozia indipendente all’interno dell’Unione europea”.
Il premier David Cameron ha già le idee chiare su quali nuovi accordi vuole ottenere dall’Unione?
“Penso che la sua lettera a Donald Tusk conterrà una proposta per evitare che vi sia immigrazione intesa a ottenere sussidi dal welfare state. Vorrà inoltre chiedere che le persone si possano spostare da un Paese all’altro soltanto se hanno una prospettiva di lavoro. Insomma regole più severe di quelle attuali. Vi è anche il problema di una più stretta unione politica:
la Gran Bretagna, che già non fa parte dell’euro, non vuole essere discriminata se gli altri Paesi decideranno di compiere nuovi passi verso una maggiore integrazione, ma ciò non è facile. Non vogliamo partecipare, ma non possiamo pretendere che gli altri non procedano per non lasciarci indietro!”.
I cittadini hanno ben chiara la posta in gioco del voto referendario?
“C’è senz’altro il rischio, in questo momento, che i cittadini non capiscano la complessità e i vantaggi dell’Unione europea.
Non è mai stato spiegato bene alla gente che cosa sia l’Europa e perché la Gran Bretagna abbia deciso di farvi parte.
Si pensa che gli europei siano soltanto persone con le quali si fanno affari. Solo le élite conoscono le ragioni politiche di questo progetto. La gente comune del resto non si riconosce nei capi della campagna per rimanere in Europa, che trattano gli elettori con paternalismo pretendendo di dire loro come votare senza spiegare bene perché occorre rimanere in Europa. Di conseguenza i cittadini comuni si identificano con lo Ukip e le altre formazioni antieuropee. Anche se vincesse la campagna per mantenere il Regno Unito dentro l’Unione europea, vi sarebbe bisogno di spiegare ai cittadini i vantaggi dell’Europa”.
Ma in fin dei conti i britannici si sentono europei?
“La famiglia reale ha origini tedesche. I britannici vanno a vivere in Spagna o Grecia, seguono i campionati di calcio europei, mandano i figli a studiare in altri Paesi del continente. I britannici sono europei, per cultura e civiltà, eppure sentono che l’Ue minaccia la loro identità nazionale. Il motivo è che il progetto europeo non è mai stato illustrato a dovere alle persone comuni perché è sempre stato controllato dalle élite. Non si è mai parlato dei vantaggi dell’Europa che è sempre stata presentata come il problema anziché come la soluzione”.