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Dopo le minacce alle navi italiane di aver sconfinato in acque libiche e l’ennesima profanazione nel cimitero italiano di Tripoli, Francesco Strazzari, docente di relazioni internazionali alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa analizza la situazione in Libia e dà consigli alla comunità internazionale, anche sullo Stato islamico
L’appoggio ad un governo di unità nazionale in Libia con “la scommessa su una distensione regionale”, è “l’unica strada percorribile” per smorzare le tensioni e contrastare l’avanzato dello Stato islamico nel Maghreb. Altrimenti si rischia che il conflitto interno degeneri, provocando addirittura la migrazione dei libici sui barconi. E’ il parere di Francesco Strazzari, docente di relazioni internazionali alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, che analizza la situazione dopo le minacce alle navi italiane di aver sconfinato in acque libiche e l’ennesima profanazione del cimitero italiano di Tripoli. Nei giorni scorsi Italia, Egitto e Algeria si erano incontrati ad Algeri ed avevano riconfermato la disponibilità italiana ad appoggiare un governo di unità nazionale. Intanto il tedesco Martin Kobler succede a Bernardino Leon come capo della Missione Onu in Libia.
Cosa sta succedendo in Libia? Perché le minacce?
“Con le minacce i due governi contrapposti, quello di Tobruk e quello di Tripoli (retto da milizie islamiste che stanno portando avanti un processo di islamizzazione) hanno imposto uno stop che ha fatto vacillare il progetto di un governo di unità nazionale. La comunità internazionale ha confermato questa opzione, nominando un primo ministro e portando al paradosso di tre possibili governi in Libia. Così si è entrati in una fase di stallo. La alternative sono due: una maggiore deriva per bande o dare credito alla soluzione piena di compromessi della comunità internazionale con l’avallo anche dell’Italia”.
Cosa hanno voluto dire con l’accusa alle navi italiane e l’attacco al cimitero?
“A Tripoli, Tobruk o Bengasi hanno bisogno di mostrare che un vero rivoluzionario che ha combattuto Gheddafi non è servo delle potenze straniere. L’Italia è vista come elemento pressante per la nostra dipendenza dagli idrocarburi lungo la costa occidentale, dove sono presenti formazioni jihadiste. Le forze navali italiane sono presenti in maniera massiccia nelle operazioni contro il traffico di esseri umani e si sono avvicinate sempre di più alla costa. È chiaro che la Marina italiana smentirà sempre e che la Marina libica abbia interesse ad alzare i toni dicendo che l’Italia sta sconfinando. È un gioco delle parti. L’attacco al cimitero è invece la recrudescenza più becera di chi vuole provocare. Qualcuno vuole che l’Italia perda i nervi e agisca in modo scomposto. Perché l’Italia vive una grande contraddizione: vuole essere percepita come interprete neutrale ed esecutore della volontà della comunità internazionale nella legalità garantita dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma al tempo stesso ha degli interessi economici”.
Quali rischi se si arrivasse davvero a bombardare i barconi in Libia?
“Ci sono dei costi umani nei cosiddetti ‘magazzini di stoccaggio’ dei migranti che non riusciamo a stimare; ed è una illusione pensare che esista un’autorità politica buona, eletta e rappresentativa, e dall’altra parte i trafficanti. Le aree di connivenza sono tante: colpire gli uni significa dare un colpo agli altri, con tutte le ripercussioni politiche”.
Se il conflitta degenerasse potrebbe iniziare anche una migrazione di cittadini libici?
“Se il conflitto in Libia continuerà a polverizzarsi – tutti contro tutti – e se finiranno le scorte, gli stipendi, le forniture di luce, gas, medicinali, acqua, allora potremmo vedere anche spostamenti della popolazione più benestante nel Nord Africa. Se la guerra si spingesse nel cuore di Tripoli rischieremmo di vedere una parte dei libici sui barconi”.
L’Italia cosa dovrebbe fare?
“Comportarsi con coerenza per mantenere la soluzione politica di un governo di unità nazionale come bussola del proprio orientarsi sul teatro libico, anche a costo di affrontare le contraddizioni dovute agli interessi economici. Dovrebbe dotare questo governo di strumenti, ad esempio la messa in sicurezza dei porti, il training dell’esercito. L’Italia deve riuscire a mantenersi ben agganciata alla legalità internazionale e ad una coalizione con i due grandi rivali, Egitto ed Algeria. La linea intrapresa finora dal ministero degli esteri è saggia. Potrebbe andare un po’ più in là, rassicurando rispetto all’entità dei propri interessi. La scommessa su una distensione regionale è l’unica strada percorribile”.
E per estromettere lo Stato islamico dalla Libia?
“Se l’Italia riuscisse a creare incentivi per cui le parti si rimettono intorno ad un tavolo e allargano la collaborazione, si prosciugherebbe l’acqua in cui lo Stato islamico agisce, godendo di amplissimi margini di connivenza. In Libia lo Stato islamico controlla la zona degli impianti petroliferi ed è presente con cellule dormienti che fanno attentati in altre parti. È l’effetto più pericoloso perché mina il controllo territoriale di cui Tripoli si è sempre fatto vanto”.