Firenze 2015
Nel segno dell’ecumenismo la preghiera presieduta da monsignor Nunzio Galantino con le riflessioni di un arciprete ortodosso e di una pastora valdese. Le “voci” di un imam e di un rabbino per un dialogo coraggioso che abbatte i muri e ha il volto della speranza
“Uniamo le nostre intenzioni, le nostre attese, le nostre speranze nella preghiera”. Con queste parole monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ha introdotto il canto del “Padre nostro” che questa mattina ha concluso la preghiera ecumenica presieduta dal vescovo, in apertura della quarta e penultima giornata del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, mentre è ancora viva l’eco della visita pastorale di Papa Francesco. Ad offrire una riflessione spirituale sulla lettura tratta dalla lettera ai Filippesi sono stati padre Georgij Blatinskij, arciprete della Chiesa ortodossa russa di Firenze, e Letizia Tomassone, pastora della Chiesa valdese fiorentina.
Unità nell’ascolto di Cristo. “Come ha detto Papa Francesco, se noi non ci abbassiamo non possiamo vedere il volto del Signore”, ha esordito p. Georgij Blatinskij, invitando a “scegliere tra il bene e il male”, a respingere con fermezza e fin dall’inizio le ispirazioni che vengono dal maligno, e ad accogliere invece “le cose che vengono da Dio”. “La nostra fede – ha concluso – è la nostra vita”, la via per andare oltre “il paradosso del non ragionare”. È una Chiesa in conflitto quella alla quale Paolo rivolge il suo inno cristologico, ha fatto notare Letizia Tomassone, pastora della Chiesa valdese fiorentina, sottolineando che come l’Apostolo non ha giudicato e allontanato alcuno, ma ha piuttosto valorizzato la capacità di ascolto di quella comunità, così occorre oggi “lasciarsi interpellare dai nostri conflitti” che sono il portato di una “storia di lotte fratricide, conflitti dottrinari, battaglie per il potere”. E il pensiero ritorna a Francesco e al suo invito a farsi poveri e a svuotarsi per Cristo. Dio, ha concluso Tomassone, ci parla attraverso la voce del mondo e
“ci sfida a vivere un cammino di riconciliazione e svuotamento dei nostri poteri, uniti nell’ascolto del mondo, della parola, di Cristo”.
Ponti, non muri. Lavorare insieme, “costruendo ponti e non muri”. Per Izzedin Elzir, imam di Firenze e presidente dell’Unione comunità islamiche d’Italia (Ucoii), è l’unica via per
“superare quanto c’è di oscuro” nelle religioni, in particolare il fondamentalismo che porta al terrorismo; si tratta di “un cammino lungo e faticoso, che richiede responsabilità e coraggio, ma è l’unica strada che abbiamo”.
Dall’imam un forte appello al dialogo: “Cerchiamo di andare avanti insieme, come comunità religiose e come uomini, verso un nuovo umanesimo perché non si può procedere da soli”. Il dialogo va costruito nell’umiltà, senza “pretendere che gli altri diventino noi, ma aiutandoli a essere quello che sono”, e deve partire dal basso e dalle nostre realtà, ha aggiunto richiamando gli incontri ai quali viene invitato nelle parrocchie fiorentine. L’imam ha citato la Giornata del dialogo cristiano-islamico celebrata lo scorso 27 ottobre e ha riconosciuto: “Ci sono tante paure, a volte anche giuste, ma con coraggio e responsabilità dobbiamo superarle insieme. Noi possiamo essere un ponte tra la comunità italiana e il mondo islamico”.
Un patto per il futuro. “Il mondo aspetta una comunicazione comune da noi” e “noi, religioni monoteiste, dobbiamo offrire una visione positiva dell’uomo e del mondo impegnandoci per il suo bene”. È il monito di Joseph Levi, rabbino capo della Comunità ebraica di Firenze, che richiamando il nuovo corso dei rapporti cristiani-ebrei avviato dopo la Nostra aetate, ha sottolineato
il compito educativo delle religioni: “Offrire speranza e fiducia all’uomo e nell’uomo”.
E a proposito del tema del convegno, “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, si è soffermato sul “neoumanesimo biblico” fondato nella Genesi su tre principi: la non casualità della creazione il cui ordine “ci rimanda al divino”, il patto tra Dio e l’uomo nato dalla fiducia di Dio nella sua creatura, “l’identità etica dell’uomo”. Dio, ha spiegato, propone dei principi, ma poi spetta all’uomo elaborarli e metterli in pratica. “Dobbiamo e possiamo – l’appello conclusivo – essere di nuovo alleati, figli del patto per il futuro, e offrire insieme, in nome delle nostre tradizioni bibliche, speranza al mondo sofferente”.