Intervista
Il vicepresidente Iai, già capo di stato maggiore della Difesa, analizza la situazione dopo gli attacchi di Parigi. L’appello di Hollande all’Europa, il nazionalismo francese, il possibile ruolo della Nato. Necessario – afferma – rafforzare l’Unione europea. E sul Daesh: “Potrebbe essere sconfitto in poche settimane”
Di sicuro ci sono le 129 vittime rimaste sul terreno e gli oltre 400 feriti. Altrettanto certe sono state l’organizzazione e l’efferatezza dell’azione, condotta da almeno 8 o 9 attentatori armati di granate, fucili mitragliatori, cinture esplosive. Gli attentati di Parigi di venerdì 13 novembre, condotti in cinque differenti punti della città, hanno gettato nel panico la Francia, diffondendo il timore di nuovi attacchi terroristici in Europa, ma non solo. La strage jihadista in un hotel in Mali, esattamente 7 giorni dopo, conferma che la violenza cieca riconducibile all’Isis non ha confini. Il presidente François Hollande ha dichiarato: “La Francia è in guerra”. Dopo le misure straordinarie per la sicurezza interna, ha voluto intensificare i raid aerei sulle roccaforti Daesh in Siria. Lo stesso Hollande ha domandato all’Europa di intervenire in base alla “clausola di difesa collettiva” sancita dal Trattato Ue. “La Francia ha chiesto aiuto e l’Europa unita risponde sì”, ha fatto eco l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione, Federica Mogherini. Salvo precisare che gli interventi dei Paesi aderenti potranno avvenire in base ad “accordi bilaterali” tra Parigi e le altre capitali. Del resto, è risaputo, l’Ue non ha per il momento una politica di difesa comune, né tanto meno un esercito da schierare. Manca, non da ultimo, una risoluzione Onu che autorizzi una mobilitazione degli eserciti. Ma allora, quale solidarietà giungerà alla Francia? Lo domandiamo al generale Vincenzo Camporini, fino al 2011 capo di stato maggiore della Difesa italiana, ora vicepresidente dell’Istituto affari internazionali di Roma.
Generale, il presidente Hollande si è appellato all’articolo 42 del Trattato di Lisbona, che fa riferimento a “un’aggressione armata” sul territorio di uno Stato Ue. Gli attentati al Bataclan, allo Stade de France e in altri luoghi della capitale francese si possono considerare un atto di guerra?
“Ciò che è avvenuto a Parigi è un’aggressione a tutti gli effetti. Non si è trattato di una bomba isolata, ma di un vero e proprio attacco da parte di un commando, addestrato e armato fino ai denti. Del resto uno o più atti terroristici non sono, di per sé, un atto di guerra, a meno che non siano rivendicati da uno Stato che se ne assume la responsabilità. Ma l’Isis – ci si domanda a questo punto – può essere considerato uno Stato? La Comunità internazionale non l’ha certo riconosciuto, si tratta semmai di una autoproclamata statualità. La Francia, e l’Europa, a questo punto contro chi scenderebbero in guerra? La questione può essere dibattuta all’infinito dagli esperti giuridici, anche se occorre ammettere che oggi l’Isis controlla un territorio, dove abita una determinata popolazione: di fatto appare come uno Stato. Aggiungerei però una osservazione”.
Quale?
“Consideriamo che l’Isis, il quale sta seminando terrore e morte in varie regioni del mondo, è a sua volta attaccato da una coalizione internazionale, di cui la Francia fa parte. Chi ha dichiarato guerra e attaccato per primo? Sembrano inutili sottigliezze, ma in campo geopolitico e diplomatico non lo sono”.
Resta il fatto che Hollande ha chiamato in causa l’Europa. E perché non la Nato? L’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico prevede anch’esso una clausola di mutua difesa tra i Paesi aderenti. La Nato dispone fra l’altro di una sperimentata forza militare…
“In effetti la Nato prevede una clausola di difesa solidale, benché un poco più articolata di quella del Trattato Ue. Con una sostanziale differenza: quando la Nato reagisce militarmente, entra in gioco la sua ‘struttura di comando integrata’, che si assume la guida delle operazioni belliche; diversamente se la Francia stipulasse accordi bilaterali con gli Stati che decidessero di andarle in aiuto, manterrebbe il controllo delle azioni e la titolarità ‘politica’ della guerra al terrorismo. È una scelta legittima, ma lascia tipicamente intravvedere il nazionalismo francese”.
Dopo Parigi, lo sguardo del mondo è tornato a posarsi sull’Isis. Non c’è il rischio che la situazione in Siria e in Medio Oriente possa complicarsi ulteriormente? Le forze militari del Daesh possono essere contrastate sul campo di battaglia?
“Dal punto di vista tecnico-militare, con 5 o 6 brigate ben organizzate, un adeguato supporto aereo e i più moderni strumenti di intelligence e di comunicazione oggi a nostra disposizione, ci vorrebbero poche settimane per sgominare l’Isis.
Ma questo vorrebbe dire scendere in guerra, accettarne le conseguenze, le perdite umane… Perché con la guerra ci si fa male!
Siamo pronti a tutto ciò? L’opinione pubblica europea sarebbe d’accordo? E i responsabili politici si assumerebbero questi rischi?”.
Il presidente Hollande ha chiamato in causa gli Stati europei. Lei non ha l’impressione che si faccia appello all’Europa quando ci si trova di fronte a un grave problema – come avvenuto per l’emergenza profughi – dinanzi al quale i singoli governi appaiono impotenti?
“Sì, ne sono convinto. Il nostro continente è formato da Stati, Germania compresa, tutto sommato piccoli rispetto alle sfide globali della nostra epoca. Per cui o ci mettiamo insieme, rafforzando l’integrazione comunitaria, oppure i nostri destini saranno decisi altrove.
Quanto sta tragicamente accadendo in queste ore dovrebbe farci riflettere proprio sulla necessità di una Unione europea più forte, integrata ed efficace”.