L'Ue e il mondo
Dopo la crisi economica, ora il Vecchio continente è pressato dall’emergenza migratoria e dal terrorismo. Sfide che richiedono risposte condivise. Ma per questo sarebbe necessario cedere nuove quote di sovranità a Bruxelles. In questa direzione si registra qualche passo avanti, ma la resistenza degli Stati membri è ancora forte
È una delle esperienze ricorrenti della storia dell’integrazione europea: i capi di Stato e di governo degli Stati membri, uniti in una leadership collettiva dell’Unione nel Consiglio europeo, sono regolarmente in ritardo con le loro decisioni rispetto a quanto sarebbe necessario nelle diverse circostanze, restando così sempre dipendenti dall’andamento delle crisi, che invece si sarebbero potute evitare con decisioni ragionevoli e tempestive. Quando poi i problemi diventano quasi ingestibili, l’affrontarli presenta grandi difficoltà per tutti coloro che ne sono coinvolti. Lo si è visto con la recente crisi economica e lo stiamo sperimentando in modo particolarmente drammatico in relazione alla crisi dei rifugiati, che ha gettato nel panico alcuni degli Stati membri direttamente interessati e ha portato l’Unione europea sull’orlo del crollo.
Anche nel campo della politica estera e di sicurezza, che a causa della crisi dei rifugiati e dei devastanti attacchi terroristici a Parigi il 13 novembre ha di nuovo acquisito una particolare attualità, si evidenzia una grave omissione della politica europea.
Pressioni migratorie e terrorismo hanno la loro origine soprattutto – ma non solo – in guerre oltre i confini dell’Europa. Dopo che, attraverso l’integrazione e l’unificazione interna, la guerra è stata messa al bando nel Vecchio continente, ora essa arriva da fuori, senza che l’Unione sia adeguatamente preparata.
La fine dell’Unione Sovietica aveva nutrito l’illusione che il pericolo della guerra fosse eliminato.
È stata una brutta sorpresa da cui l’Unione europea non si è ancora ripresa, che la Russia, sotto la guida di Putin e la sua politica aggressiva e nazionalista, abbia minacciato i suoi vicini e con le sue iniziative in Crimea e in Ucraina orientale abbia di nuovo messo in discussione la pace europea.
Anche il fatto che la guerra civile in Siria potesse avere ricadute sull’Unione europea non era stato previsto. Nelle capitali europee si è agito come se di conseguenze non ce ne dovessero essere, benché già i conflitti in Iraq, Afghanistan e Libia costituissero esperienze di riferimento.
In ogni caso: oggi ci è più chiaro che l’Europa nel suo insieme non può rimanere fuori dai conflitti che sono una minaccia diretta per la stabilità, i valori e gli interessi dell’Unione. Si tratta peraltro non di minacce accidentali e occasionali.
Le nuove minacce derivano anche dal nuovo ruolo dell’Unione europea nelle relazioni internazionali. L’importanza della politica estera e di sicurezza continuerà ad aumentare in futuro.
Da un lato l’Ue è resa vulnerabile ai suoi confini per il non ancora del tutto completato allargamento geografico. La protezione delle frontiere esterne è un prerequisito fondamentale per lo sviluppo, l’apertura e la libera circolazione all’interno. D’altro lato l’accrescimento della sua potenza, che all’Unione deriva dalla sua stessa politica d’integrazione e di unificazione, ne aumenta la responsabilità politica regionale e globale. Bisogna essere in grado di far fronte a questa responsabilità, sia in solidarietà con i Paesi confinanti provati, soprattutto in Africa, dalla fame, dall’oppressione e dalla guerra, sia per i propri interessi. Tuttavia, per poter fare ciò è necessario un accordo di fondo, costituzionalmente sancito tra gli Stati membri che devono trasferire un altro pezzo della propria sovranità e relative competenze all’Unione.
Accenni di una politica estera comunitaria e quindi di una politica di sicurezza e di difesa comune sono stati sviluppati a partire dal Trattato di Maastricht (1993). Passi avanti sono stati compiuti soprattutto con il Trattato di Lisbona (2009). Il coordinamento e la comunicazione tra gli Stati membri sono stati migliorati. Sono state decise riunioni periodiche di comitati, a cui in tempi di crisi possono essere trasferiti alcuni poteri decisionali. Il coordinamento tra il livello politico e quello militare è stato sistematizzato. È stato nominato un (o una, perché questa funzione viene attualmente svolta dall’italiana Federica Mogherini) Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza che presiede il Consiglio dei ministri degli Esteri.
Ma siamo ancora lontani da una politica istituzionale sovranazionale che abbia anche capacità militari con forze armate integrate.
Ciò che fino ad ora è stato concordato e praticato, e gli accordi istituzionali in materia di politica estera, di difesa e di sicurezza continuano a mancare di una prospettiva adeguata.
Come anche in altri settori della politica europea, la politica estera e di sicurezza comune si svilupperà solo in risposta agli imperativi dettati dalle sfide e delle crisi, e così, è da temere, resterà in ritardo rispetto a ciò che sarebbe necessario oggi per essere pronti domani. C’è da sperare e da attendersi che prima o poi, sotto la pressione degli eventi si supererà anche la resistenza alla cessione della sovranità e si aprirà la strada per un’autentica politica estera e di sicurezza europea.