Radicalizzazione

Tra la denuncia e l’intelligence. La via della prevenzione a scuola, in oratorio e nelle carceri

Paolo Branca: un fenomeno difficilissimo da controllare a livello investigativo. E da denunciare, perché i confini tra il lecito e l’illecito, tra “radicalizzazione” e “tradizionalizzazione” sono sempre sbiaditi. L’unica strada da percorrere è quella della prevenzione. A partire dalle scuole, dagli oratori, dalle carceri.

Il fenomeno della radicalizzazione “purtroppo in Italia c’è”. “Sono partiti anche da qui ragazzi” per arruolarsi nella jihad e “sono più di quelli di cui parlano i giornali”. Ma è un fenomeno difficilissimo da controllare a livello investigativo. E da denunciare, perché i confini tra il lecito e l’illecito, tra “radicalizzazione” e “tradizionalizzazione” sono sempre sbiaditi. L’unica strada da percorrere è quella della prevenzione. A partire dalle scuole, dagli oratori, dalle carceri. Ma occorrono esperti da affiancare agli educatori e la formazione ha bisogno di investimenti. Ma di soldi in questo momento non se ne vedono. E’ un fiume in piena Paolo Branca, docente di lingua e letteratura araba e di islamistica all’Università Cattolica di Milano . Ha seguito personalmente casi di radicalizzazione su richiesta anche di comunità di tutela per minori non accompagnati . Purtroppo però è stato interpellato quando era troppo tardi e il ragazzo era già partito.

L’identikit del jihadista è noto. Spesso sono convertiti e viaggiano molto sul web. Inseguono ideali ideologici e ‘umanitari’. Decidono di arruolarsi in Siria per salvare il Paese dalla distruzione. Purtroppo l’Isis ha una caratteristica apocalittica che non aveva Al Qaeda e fa passare la visione della realtà come “una battaglia tra le luci e le tenebre”. A cadere nella “trappola” sono ragazzi molto giovani e talvolta disadattati. Branca racconta subito una storia: “Ho conosciuto almeno un caso di un giovane che era un drogato, un fuori di testa. Poi radicalizzandosi e avvicinandosi alla religione ha smesso di drogarsi, ed è diventata una persona con un maggiore self control.

“Prima di partire ha scritto al prete che lo aveva ospitato per anni in una comunità di tutela minori: ‘ci rivedremo in paradiso’”.

Il reclutamento non avviene solo sul web. Ci sono anche persone che frequentano moschee, luoghi di preghiera, campeggi islamici che si fanno durante il Ramadan in giro per l’Italia. “Ma non credo – aggiunge subito il professore – che ci si radicalizzi  dai discorsi ufficiali. Probabilmente lì in quei luoghi,  ci sono dei reclutatori che individuano i personaggi più fragili e poi li contattano personalmente”. Individuare i “reclutatori” è difficilissimo. Sono persone di origine araba che vengono da paesi devastati dalla guerra e portano dentro un profondo e radicato rancore. Si prestano a fare questo lavoro anche perché sono pagati, sono mercenari, sono drogati, gli viene anche procurata una moglie. Donne che si immolano alla causa e partono, donne locali, o addirittura schiave cristiane e yazide che vengono vendute come concubine.

“E’ una vecchia storia: soldi e sesso funzionano sempre molto bene”.

I segnali. Il professore ne elenca almeno due. Se uno che è sempre stato in ambienti promiscui e dava senza problemi la mano alla professoressa o alla educatrice e all’improvviso non vuole più neanche urtare una ragazza per caso perché potrebbe essere mestruata e quindi impura, è un segno chiarificatore che rivela che questa persona sta subendo un processo di radicalizzazione. Anche l’atteggiamento verso i cani che sono animali impuri, può essere rivelatore. “A me è capitato – racconta Branca -. Avevo amici che venivano a casa, parlavano con mia moglie e giocavano con le mie cagnoline. Poi ad un certo punto mi suonavano al citofono e mi dicevano: ‘vieni giù tu’. A quel punto ho capito che stavano frequentando gruppi molto tradizionalisti”.

Su barba e abbigliamento “si sono fatti furbi”: sanno che il rischio è di diventare subito “individuabili”.

Sulla individuazione del fenomeno radicalizzazione non c’è alcuna formazione. Educatori e operatori sociali che lavorano nelle scuole, negli oratori (il 25% dei ragazzi che frequentano gli oratori della diocesi ambrosiana sono musulmani) e addirittura nelle carceri vagano nel buio più totale se non poi scontrarsi con la realtà quando però è già troppo tardi. Anche la denuncia è un processo complesso. “E’ difficile che una persona che nota un cambiamento in un suo conoscente, vada a denunciarlo. Perché non è detto che chi non saluta una ragazza, sia passato alla lotta armata. Probabile che si tratti semplicemente di un percorso personale di tradizionalizzazione estrema”. Ma è possibile che i responsabili delle comunità islamiche non si accorgano di nulla e i “reclutatori” abbiano carta bianca? “E’ un fenomeno che paragono molto con quello che è successo negli anni ’70 rispetto ai brigatisti – risponde il professor Branca -. Di loro si diceva che erano ‘compagni che sbagliavano’ ma in fondo l’analisi sulla situazione era condivisa”. Succede anche in ambito musulmano oggi rispetto ai radicalizzati. “Finché non cominciano ad uccidere, non si va a denunciare un fratello e anche se sbaglia, in fondo lui lo fa, esagerando, ma per una giusta causa”. Non è raro sentire in questi ambienti che chi parte per la Siria è “un eroe che va a difendere un popolo martoriato”. “E’ una situazione preoccupante”, conclude Branca.