Ddl Cirinnà

Monsignor Fragnelli: “Serve al Paese reale o alle battaglie ideologiche?”. Utero in affitto: prospettiva ripugnante che “alimenta la barbarie”

Prosegue il dibattito politico sul testo sulle unioni civili che il 26 gennaio approderà in Aula al Senato, mentre affiorano, per alcuni giuristi, “ombre costituzionali” sulla stepchild adoption. Monsignor Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Trapani e presidente della Commissione Cei per la famiglia, i giovani e la vita, si chiede se il provvedimento sia realmente utile per il Paese ed esprime preoccupazione sul nodo dell’adozione, mettendo in guardia dalla prospettiva dell’utero in affitto: “Un mercato che strumentalizza la donna genitrice e rischia di avere effetti destabilizzanti sulla vita del bambino”. Sul ricorso alla libertà di coscienza: “Potrebbe essere un invito a volare alto”

Mentre prosegue il dibattito politico sul testo sulle unioni civili che il 26 gennaio approderà in Aula al Senato, affiorano per alcuni giuristi “ombre costituzionali” in merito alla stepchild adoption. Sull’argomento monsignor Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Trapani e presidente della Commissione Cei per la famiglia, i giovani e la vita, si chiede se il provvedimento sia realmente utile per il Paese ed esprime preoccupazione sul nodo dell’adozione, mettendo in guardia dalla prospettiva dell’utero in affitto.

Qual è la sua opinione sul disegno di legge Cirinnà? Che cosa, in particolare, ritiene preoccupante e perché?
Non sono un tecnico del diritto, tanto meno un politico. Come vescovo non posso che fermarmi a guardare alle sorgenti di ispirazione del disegno di legge in questione. Mi metto in dialogo con la prospettiva dei redattori, consapevole – come dice papa Francesco – che “vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in qualsiasi cultura, in qualsiasi città, migliora il cristiano e feconda la città” (Evangelii Gaudium 75). Detto questo, trovo interessante il cammino fatto in Commissione: usare l’espressione “formazione sociale specifica” per definire le unioni civili è segno di buona volontà e intelligenza, perché si dà valore ed evidenza alla differenza che c’è con la formazione sociale chiamata famiglia, riconosciuta dalla Costituzione; in questo modo si cuce un vestito appropriato sulle realtà nuove a cui si vuole dare attenzione con un volto giuridico più definito rispetto alla situazione attuale. Le preoccupazioni? Le riassumo in poche domande: la cultura della precarietà riceve uno stop o viene rafforzata da questo strumento giuridico? Basta elencare una serie di cause cosiddette “impeditive” per dare legittimazione a una dichiarazione di intenti?
Quanto pesa la sudditanza dalla cultura dominante in Occidente, divenuta relativista, incapace di fare passi indietro rispetto a questioni antropologiche fin troppo evidenti per il buon senso? Il ddl serve veramente al Paese reale o serve soprattutto a battaglie ideologiche?

Ritiene che i diritti delle coppie omosessuali siano già tutelati dal nostro ordinamento o che sia “comprensibile” la richiesta di un dispositivo ad hoc?
Ancora una volta la questione è culturale e sociale. Si tratta di incidere sulla formazione della mentalità, cosa che ha bisogno di tempi lunghi e non si può accelerare a colpi di “imposizione” giuridica e mediatica. La scoperta e valorizzazione di ogni persona all’interno delle nostre realtà sociali ha bisogno di cittadini sempre più maturi, capaci di rispetto e di cura; pronti non solo a tollerare le differenze, ma anche ad accoglierle senza pregiudizio sulle persone, con strumenti giuridici adeguati per una sana integrazione, che non ceda alla tentazione di rinchiudersi in “gated communities”.

Il nodo cruciale rimane la stepchild adoption che porterebbe un bambino ad avere due genitori dello stesso sesso e potrebbe aprire all’utero in affitto…
Effettivamente l’art. 5 del ddl modifica la Legge 4 maggio 1983, n. 184 sulla “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, là dove si prevede che il minore possa essere adottato “dal coniuge nel caso in cui sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge”. Il ddl Cirinnà in particolare prevede apparentemente una semplice estensione, perché al termine “coniuge” aggiunge: “Dalla parte dell’unione civile tra persone dell’altro sesso”. È evidente che

questo testo apre alla possibilità che il partner dello stesso sesso sia genitore adottivo mediante “utero in affitto”. Questa prospettiva ripugna l’umano che è in noi e alimenta la barbarie che solo i ricchi di soldi (non di umanità) possono pensare e permettersi. È un mercato che strumentalizza la donna genitrice e rischia di avere effetti destabilizzanti sulla vita del bambino.

Che cosa pensa delle mediazioni politiche in corso? Alcuni propongono una “stepchild ristretta” o un “affido rafforzato”, mentre altri si dichiarano del tutto contrari a mediazioni…
È compito del dibattito parlamentare individuare l’istituto giuridico che meglio sappia tutelare l’interesse del minore. A nessuno è lecito calpestare la sua legittima attesa di identità, di affetto materno e paterno, di protezione e di libertà.

In ogni caso, l’eventuale stralcio o indebolimento dell’adozione legittimante del figlio naturale del partner costituirebbe un livello di mediazione accettabile, pur nel mantenimento nel ddl dell’equiparazione di fatto delle unioni civili al matrimonio? Non ritiene infatti che nel testo proposto vi siano delle contraddizioni che potrebbero legittimare interpretazioni ambigue del testo stesso?
Bisogna evitare situazioni grigie, ambigue. L’approfondimento del dibattito dovrebbe dare corpo dalla “specificità” della “formazione sociale” delle unioni civili rispetto alla famiglia. È necessario definire chiaramente, per non far dire al testo cose che non sono state maturate in un confronto democratico, leale e responsabile.

Renzi e Berlusconi assicurano che lasceranno libertà di coscienza. Qual è la sua opinione su questo punto?
Penso che il ricorso alla libertà di coscienza potrebbe essere un invito a volare alto, rivolto a legislatori e politici non di una sola parte politica.Papa Francesco definisce “politico nell’animo” colui “che ha deciso nel profondo di essere con gli altri e per gli altri”, pena il suo “lento suicidio e la fine del suo essere popolo” (cfr. EG 272-273).
L’appello alla coscienza può essere un mezzo che permette al Paese reale di far sentire la sua parola al Paese legale. A partire dalla ritrovata coscienza, si raggiunge la coesione civile e sociale:“Nella fedeltà alla coscienza – afferma il Concilio – i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità numerosi problemi morali, che sorgono tanto nella vita privata quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità” (Gaudium et Spes 16).