Società

Non è amore se distrugge la vita. È ora di aprire gli occhi: esiste una “questione maschile”

In due giorni due donne uccise e una ridotta in fin di vita con ustioni sul 50% del corpo per mano dei partner. Nel 2015, fa sapere il Viminale, in Italia si sono registrati 128 femminicidi. Fragili, in crisi di identità, incapaci di tollerare le frustrazioni, possessivi e violenti. Fortunatamente non tutti gli uomini sono così, ma esiste una “questione maschile”

Alla fine Raul uccide Ada e poi si suicida. Epilogo drammatico ma purtroppo prevedibile, quello della fiction televisiva “Luisa Spagnoli”, trasmessa lunedì e ieri sera da Raiuno. Ada sa di avere un fidanzato violento, eppure lo sposa ugualmente, incurante dei tentativi dell’amica Luisa di metterla in guardia. Ancora una volta la realtà raccontata si intreccia drammaticamente con la realtà reale.

In appena due giorni, dal 1° febbraio ad oggi, in Italia sono state massacrate tre donne.

Luana strangolata a Catania dal marito davanti al figlioletto di 4 anni, Carla, di Pozzuoli, incinta al nono mese, ridotta in fin di vita dal compagno che le ha dato fuoco senza fermarsi neppure di fronte alla bimba che portava in grembo, fortunatamente ora fatta nascere e in buone condizioni. A Marinella, di Brescia, il marito ha tagliato la gola.

Nel 2015, secondo i dati del Viminale, sono state 128 le donne uccise, praticamente una ogni tre giorni, prevalentemente dal marito o dal compagno,

ma gli omicidi sono sempre preceduti da atti persecutori, violenza sessuale, percosse, e il 60% di fronte allo sguardo terrorizzato dei figli minori che ne verranno segnati per sempre. Un bollettino di guerra di fronte al quale nessuna famiglia può dirsi al sicuro: teatro di maltrattamenti non sono solo quelle degradate o “a rischio”, ma pure famiglie “insospettabili”. Uomini insospettabili, appunto, di tutti i ceti sociali: liberi professionisti, intellettuali, operai, impiegati, che considerano la compagna (ed anche la ex dalla quale non si rassegnano ad essere abbandonati) un oggetto di proprietà con un senso malato di possesso che si trasforma prima in smania di controllo, poi in brutalità e istinto di distruzione. Un vero cortocircuito che da una parte vede uomini fragili, feriti in modo insopportabile nel loro narcisismo e incapaci di tollerare frustrazioni relazionali, aggredire fino alla morte vittime che a loro volta non riescono a svincolarsi dalle sabbie mobili di una relazione degenerata. Vittime-complici in un legame morboso che forse è anche frutto di una cultura ancora cristallizzata su modelli di subalternità femminile (psicologica ma spesso anche economica) nei confronti dell’uomo.

Si parla di inadeguatezza del mondo maschile: ma quanto dipende anche dall’educazione che le madri impartiscono ai figli e da quella che gli esperti chiamano “femminilizzazione” dell’educazione, spesso priva di riferimenti maschili positivi?

Venute meno le reti di alleanze educative più ampie, occorre ripartire con una riflessione adeguata sul maschile, indagandone identità e paradigmi. L’alfabeto dei sentimenti e delle relazioni, e quindi il rispetto per la donna, si impara fin dai primi anni in famiglia, soprattutto dall’esempio dei propri genitori, ma anche la Chiesa può svolgere un importante compito educativo. Così la scuola. Non è l’educazione al gender che serve, ma una sana educazione ai sentimenti e al rapporto fra i sessi.

Basta aprire gli occhi per accorgersi che esiste una questione maschile e che c’è qualcosa che non torna, qualcosa di malato e distruttivo nel fondo melmoso della società.

Noi lo rifiutiamo.