Il mandato di Francesco
Gli oltre mille missionari della misericordia sono inviati a “guardare al desiderio del perdono presente nel cuore del penitente”. E non è un caso che il mandato di assolvere anche dai peccati più gravi sia stato consegnato davanti le spoglie di due religiosi, san Pio da Pietrelcina e san Leopoldo Mandic, grandi e infaticabili confessori
Per un Papa che ricorda che siamo tutti peccatori, e che, dall’inizio del suo Pontificato, ripete che Dio non si stanca di perdonare ma che siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono, non poteva mancare una cerimonia come quella che si è vissuta in Basilica di San Pietro, nel Mercoledì delle Ceneri. L’inizio del tempo di Quaresima per ricordarci, con il segno della cenere, certamente penitenza e domanda di perdono, ma soprattutto che siamo tutti polvere, cioè tutti deboli e fragili. Peccatori insomma.
La medicina che la Chiesa da sempre indica è proprio quella della misericordia.
Lo ricordava Papa Roncalli aprendo i lavori del Concilio Vaticano II. Lo ribadisce Giovanni Paolo II, due anni dopo la sua elezione al soglio di Pietro, affermando che Dio è ricco di misericordia. La verità di Dio è la sua misericordia, affermava Benedetto XVI citando la parabola del figlio prodigo: è un vertice della spiritualità e della letteratura di tutti i tempi e cambia la storia dell’umanità: “Dopo che Gesù ci ha raccontato del Padre misericordioso, le cose non sono più come prima, adesso Dio lo conosciamo: è il nostro Padre, che per amore ci ha creati liberi e dotati di coscienza, che soffre se ci perdiamo e che fa festa se ritorniamo”. E allora per un Papa che parla del prete con l’odore delle pecore, che cita ai vescovi italiani a Firenze l’immaginario don Camillo di Guareschi, o, ancora, il vescovo stretto tra la folla nel metrò senza potersi sorreggere alle maniglie, gli oltre mille missionari della misericordia sono inviati a “guardare al desiderio del perdono presente nel cuore del penitente”.
Dunque, attenzione agli ostacoli che si frappongono a quell’entrare “attraverso la porta aperta che è Cristo”, e potrebbero impedire ai missionari della misericordia “di essere segni e strumenti del perdono di Dio”.
E non è un caso che il mandato di assolvere anche dai peccati più gravi sia stato consegnato davanti le spoglie di due religiosi, san Pio da Pietrelcina e san Leopoldo Mandic, grandi e infaticabili confessori.
Ostacoli, dicevamo, che chiudono le porte del cuore, anzi blindano quelle porte, afferma Francesco nell’omelia in San Pietro: è la tentazione di “convivere con il proprio peccato, minimizzandolo, giustificandosi sempre, pensando di non essere peggiori degli altri”. Il rischio: restare “prigionieri del male”. Poi c’è la “vergogna di aprire la porta segreta del cuore”. Vergogna, perché non è facile porsi davanti a un altro uomo e confessare il proprio peccato: “Davanti a noi c’è una persona nuda – dice Francesco ai 1.142 missionari, incontrati martedì pomeriggio – che non sa parlare, non sa cosa dire, con la sua debolezza e i suoi limiti, con la vergogna di essere un peccatore. Davanti a noi non c’è il peccato, ma il peccatore pentito”. Una vergogna, aggiunge ancora il Papa, che non deve “mai trasformarsi in timore o paura”. Allora il terzo ostacolo, “insidia” la chiama, è quella di allontanarci dalla porta, “succede quando ci rintaniamo nelle nostre miserie, quando rimuginiamo continuamente, collegando fra loro le cose negative, fino a inabissarci nelle cantine più buie dell’anima”.
La “medicina” che Francesco consiglia è triplice: preghiera, che significa incontro personale con il Signore; carità, per superare l’estraneità nei confronti degli altri; digiuno, invito alla semplicità e alla condivisione, togliere qualcosa dalla nostra tavola e dai nostri beni per ritrovare il bene vero della libertà.
L’immagine è sempre quella del figlio prodigo, o meglio di quel padre che accoglie senza chiedere, anzi vuole che si faccia festa perché è tornato colui che si era perso. A volte noi siamo un po’ come l’altro fratello, che si lamenta, e ricorda al padre che lui gli ha sempre obbedito e non ha nemmeno ricevuto un capretto per far festa con gli amici. Luca pone la parabola dopo quella della pecora smarrita e della moneta perduta. È invito a guardare con amore e fiducia alla misericordia di Dio.