Dibattito sul fine vita
Dal governo arriva una proposta che lascia intravvedere la “dolce morte” per le persone affette da demenza senile. Il “no” fermo di chi, da credente, opera nel campo della salute. La posizione della Fondazione di etica medica, dell’associazione di ispirazione cristiana degli anziani olandesi e di quella dei medici cattolici
Alcuni fatti olandesi nelle ultime settimane sembravano corroborare lo stereotipo per cui nei Paesi Bassi ci sia una voglia matta di morire o far morire le persone molto anziane o quelle gravemente malate. Certo, secondo i dati dell’Associazione dei medici olandesi (Knmg), nel 2014 i suicidi assistiti sono stati 5.300 (10% in più dell’anno precedente). Interpellando chi nel settore è impegnato a vario titolo, il quadro che emerge è un poco più rassicurante, benché non scevro da interrogativi e problemi.
Fra teoria e pratica. Anzitutto rivediamo i fatti. Il 17 dicembre scorso il governo dei Paesi Bassi ha pubblicato un documento riguardo la possibilità per le persone con diagnosi di demenza senile di esprimere per iscritto il proprio desiderio di eutanasia. “Di fatto non è una nuova possibilità, purtroppo, ma si colloca entro i confini già molto ampi della legge che rende possibile l’eutanasia”, spiega al Sir don Lambert Hendriks, presidente della Fondazione cattolica di etica medica e rettore del seminario di Rolduc. “Le persone che lo vogliono, devono sempre chiedere l’eutanasia per se stessi, ma la diagnosi di demenza non è più un ostacolo per il medico a procedere con la richiesta”. Nulla cambia nella legge, ma molto cambia nella pratica. “Questo rivela la debolezza e anche la malizia della legge”, spiega ancora Hendriks: “Le persone possono essere sottoposte a eutanasia, da loro precedentemente richiesta in precise condizioni, ma in una situazione in cui esse non sono più in grado di richiederla con una mente sana”.
Responsabilità condivisa. Più articolata la posizione di Manon Vanderkaa, presidente di Unie Kbo, associazione d’ispirazione cattolica a cui appartengono circa 190mila anziani olandesi: il peso della responsabilità nell’autorizzare questa eutanasia passerà ai dottori che dovranno comunque “accertare che il paziente sia in un continuo stato di ‘insopportabile sofferenza’”, condizione che la legge pone per poter procedere con l’eutanasia. Se infatti un medico agisce senza la condizione dell’insopportabile sofferenza, si macchia del reato di omicidio colposo.
La pastiglia per morire. Nel frattempo l’associazione pro-eutanasia Nvve (Nederlandse vereniging voor vrijwillige euthanasie) ha rilanciato la campagna per rendere accessibile una pillola mortifera a tutti gli anziani ultra settantenni che ne fanno richiesta. Ridimensionano di molto la preoccupazione i nostri interlocutori: “Negli anni ’90, la proposta di legalizzazione della cosiddetta ‘Drion Pill’, dal nome del sostenitore, l’olandese Huib Drion, fu avanzata dal ministro per la salute Els Borst causando molto clamore”, spiega Vanderkaa. “Da allora nessun ministro ha più presentato una simile proposta. Ci sono troppi rischi”. Don Hendriks sottolinea: “Dal momento che l’eutanasia è stata accettata in generale, è scomparso il bisogno di una cosa simile. Ci sono gruppi che la sostengono, ma non hanno molto peso nel dibattito. Certo è importante restare vigili: è facile influenzare l’opinione pubblica”. Contraria è anche la Knmg, l’associazione dei medici olandesi, che il 5 gennaio scorso scriveva: “Se si desse agli anziani accesso a una simile sostanza, sarebbe un riconoscimento implicito del fatto che la loro vita merita meno protezione di quella dei giovani e sarebbe un segnale sociale negativo”. Ma soprattutto “non tutti i desideri di morire sono volontari e deliberati: molto più spesso nascono dalla paura dovuta a isolamento sociale, difficoltà economiche, abuso di sostanze, problemi psichiatrici o crisi personali che conducono al desiderio di morire”. La risposta non è la pillola mortifera, quindi, ma l’assistenza. “I nostri volontari che fanno le visite a domicilio, ci riferiscono di anziani che si sentono soli e che preferirebbero esser morti”, conferma Vanderkaa, ma non tutti “vorrebbero effettivamente essere aiutati a farla finita. In molti casi l’attenzione e l’aiuto spirituale sono molto più appropriati”, per questo l’Unie Kbo cerca di “sostenere una cura di qualità che vada oltre il mero aspetto clinico” e forma i suoi volontari “a sostenere gli anziani e i malati, ad ascoltare con attenzione i loro bisogni”.
L’esempio di Wojtyla. Ma qui pesano i tagli draconiani alle spese sociali negli ultimi due anni che, “come in molti Paesi, sono parte di una lotta dei governi con i bilanci, più che la conseguenza di un cambio di atteggiamento verso gli anziani”, commenta Hendriks. Del resto “l’Unie Kbo come molti altri è preoccupata per il fatto che
nella nostra società guardiamo troppo in fretta alla cura degli anziani in una prospettiva di costi
soprattutto quando si tratta di cura di anziani con gravi forme di demenza”. Per Hendriks “manca nella società olandese il senso adeguato di chi sia l’essere umano: un dono di Dio, con una dignità inalienabile, che resta anche quando si invecchia e le difficoltà diventano evidenti. Lo ha mostrato in modo rimarchevole san Giovanni Paolo II”.