Continente più "pulito"
L’Ue, che dipende per oltre la metà del suo fabbisogno dalle importazioni di gas e petrolio, ha avviato un percorso che mira a creare una “Unione dell’energia”. Anche in questo settore occorrono, però, volontà politica e reali convergenze operative. Gli obiettivi 20-20-20, la “decarbonizzazione”, la riduzione del costo della “bolletta”, la valorizzazione delle fonti rinnovabili
Si dice “energia” ma s’intende economia, ricerca, investimenti, infrastrutture, sostenibilità ambientale e, soprattutto, politica. Perché l’energia ha a che fare con la maggior parte delle nostre azioni quotidiane – dall’accendere la luce appena svegli ad avviare il motore dell’auto, dal comunicare con uno smartphone a riscaldare il proprio appartamento – e al contempo richiede grandi decisioni geostrategiche, onerosi contratti per gli approvvigionamenti, innovazioni tecnologiche per sfruttare le fonti “pulite”, realizzazioni intercontinentali di gasdotti o oleodotti, leggi per il risparmio e l’efficienza energetica… Insomma la questione energetica, in un tempo in cui i consumi nel settore crescono in tutto il pianeta, è assolutamente complessa e non consente semplificazioni. L’Unione europea, seconda economia mondiale, dipende per il 53% del suo fabbisogno da fornitori esterni (fra cui Paesi Arabi, Russia, Norvegia, Nord Africa – con una bolletta complessiva di 400 miliardi di euro l’anno); così al suo interno, dopo decenni di incertezze, sta decollando, non senza fatica, un percorso verso la creazione di una Unione dell’energia in grado di fornire a cittadini e aziende rifornimenti sicuri, sostenibili e a prezzi decrescenti. Il dibattito è in corso e coinvolge i 28 Stati membri e le istituzioni di Bruxelles.
Si registra un cambio di passo. Sin dai suoi albori l’integrazione comunitaria ha posto al centro dei suoi interessi la questione energetica: non a caso i trattati istitutivi del 1957 diedero vita alla Cee (Comunità economica europea) e alla Ceea (Comunità europea dell’energia atomica, o Euratom). Ma da lì in poi i progressi in tale settore rimasero piuttosto modesti. Negli ultimi 10-15 anni l’Ue ha cambiato passo e di recente si è affermata la convinzione che occorra creare una vera e propria Unione dell’energia, così come si sta procedendo verso il Mercato unico e una Unione economica e monetaria. Un anno fa, il Consiglio europeo (riunione dei 28 capi di Stato e di governo Ue) del marzo 2015, metteva nero su bianco un documento rivolto proprio in questa direzione. “L’Ue è impegnata a costruire una Unione dell’energia – vi si legge – con politiche lungimiranti in materia di clima sulla base della strategia quadro della Commissione, le cui cinque dimensioni sono strettamente interrelate: sicurezza energetica, piena integrazione del mercato interno, efficienza energetica per contenere la domanda, decarbonizzazione dell’economia”, ossia meno ricorso a petrolio e carbone, “nonché ricerca, innovazione e competitività”.
Verso un mercato integrato. Le tappe per l’effettiva costruzione di un mercato integrato dell’energia non saranno brevi, ma appare significativo il fatto che tutti i Paesi dell’Unione abbiano avvertito la necessità di “fare squadra” e di avviare una politica comunitaria in tale settore, confermando il fatto che l’azione dei singoli Stati non è più all’altezza delle sfide in atto. In particolare il Consiglio europeo – con il supporto di Parlamento e Commissione Ue – concentra l’attenzione su alcuni aspetti operativi: accelerare i progetti delle infrastrutture per importare e distribuire (interconnessione) energia elettrica e gas; potenziare il quadro legislativo per la sicurezza degli approvvigionamenti; sostegno al settore delle fonti rinnovabili; istituire partenariati strategici con i Paesi produttori e di transito. Nel frattempo l’Ue si è data degli obiettivi complessivi per il periodo 2010-2020 (benché differenziati da Paese a Paese a secondo della situazione di partenza) che stanno per essere raggiunti, pur constatando che non tutti i Paesi fanno la loro parte con eguale impegno. Tali obiettivi (i cosiddetti 20-20-20) sono: riduzione del 20% dei gas a effetto serra rispetto al 1990; utilizzo, nel mix energetico complessivo, del 20% di fonti rinnovabili (eolica, solare, idroelettrica, marina, geotermica, biomasse e biocarburanti); miglioramento del 20% dell’efficienza energetica.
Sensibili differenze tra gli Stati. Restano, a livello Ue, da risolvere vari problemi. Ad esempio occorre aumentare i fondi per gli investimenti in infrastrutture (si pensi ai gasdotti North Stream e South Stream), accrescere quelli per la ricerca sulle rinnovabili, “svecchiare” i parchi eolici in vari Paesi, mettere in sicurezza le numerose centrali nucleari presenti nel continente…
Tutto questo alla luce di mix energetici nazionali assai differenti fra loro.
Nel solo ambito delle rinnovabili si può osservare che a livello Ue si è passati da un ricorso alle “energie pulite” pari all’8% del fabbisogno nel 2004 all’attuale 17%. Ma la Svezia si serve delle rinnovabili per il 52% del suo fabbisogno, seguita da Lettonia (37%), Finlandia (36), Austria (32), Danimarca (29). Paesi a intenso sviluppo economico sono però sul fronte opposto: i Paesi Bassi usano rinnovabili per il 4% del totale, il Regno Unito (che si affida molto al petrolio estratto nel Mare del Nord) è al 5%. La Germania, che in valore assoluto è il maggior produttore europeo di energia pulita, copre con essa solamente il 13% del suo fabbisogno (grande utilizzo di gas importato), la Francia il 14% (forte ricorso al nucleare), l’Italia il 17% (Paese che in dieci anni ha più che raddoppiato produzione e utilizzo di rinnovabili). Il percorso verso l’Unione dell’energia è avviato; per la sua realizzazione occorrerà invece ancora del tempo.