Rapporto Giovani 2016
Secondo l’indagine dell’Istituto Toniolo solo un giovane su 10 ha ben chiara la proposta del Servizio civile universale, opportunità offerta (con un minimo di retribuzione mensile) ai maggiorenni. Eppure, spiega l’indagine, si tratta di un’esperienza formativa e relazionale unica, che apre alla “costruzione del bene comune”
Una grande opportunità educativa e di crescita, un ambito per coltivare il senso di cittadinanza, una modalità concreta per rendersi utili alla propria comunità. Ma anche una realtà pressoché sconosciuta ai più… Al Servizio civile universale – erede del Servizio civile normato per la prima volta in Italia nel 1972 – è dedicato un ampio capitolo de “La condizione giovanile in Italia – Rapporto Giovani 2016”, terza edizione dell’indagine promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo. Il “Rapporto Giovani” (www.rapportogiovani.it), che sarà ufficialmente presentato a Milano il 14 aprile, è diventato in questi anni un punto di riferimento per la conoscenza della condizione giovanile nel Paese.
Costruire uno spicchio di bene comune. La nuova edizione del rapporto, realizzata da numerosi studiosi di varie discipline dell’Università Cattolica in partnership con l’istituto Ipsos di Nando Pagnoncelli, indaga in particolare cinque sfere del pianeta giovanile: scuola, lavoro, famiglia, servizio civile e visione del problema migratorio. Il capitolo su “Il Servizio civile universale: cosa ne pensano i giovani italiani” porta le firme di Elena Marta, Maura Pozzi e Daniela Marzana. Già nell’introduzione le ricercatrici affermano che “è estremamente importante tenere viva l’attenzione” sul Servizio civile universale (Scu) “e la ragione è molto semplice: al di là di tutte le definizioni,
il Servizio civile è sicuramente l’ultima scuola di cittadinanza attiva del nostro Paese.
Ecco cosa lo rende così prezioso”. Esso infatti si rivolge “a maggiorenni che svolgono un’azione sociale in un contesto organizzativo e istituzionale, assumendosi in prima persona la responsabilità di costruire il bene comune”. Assieme alla famiglia e alla scuola, dunque, un’esperienza di Scu aiuta i giovani a misurarsi con se stessi, a tessere relazioni intergenerazionali, a vivere in prima persona la solidarietà salvaguardando beni e patrimonio sociale, ad apprendere – in qualche caso – un “mestiere” (tenendo anche conto che il nuovo Scu prevede una sorta di retribuzione minima mensile pari a 433 euro).
L’indagine. La ricerca è stata condotta su un campione rappresentativo su scala nazionale tra giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, indagando sulla conoscenza del Servizio civile, le opinioni in merito alla sua durata (8 mesi, che possono diventare un anno), le “rappresentazioni” che ne danno gli stessi under30 (il Scu dovrebbe aiutare a crescere, a essere cittadini attivi e responsabili, a formarsi, a trovare una remunerazione…). Le risposte sono state poi analizzate in base a provenienza geografica, status (studente, lavoratore, Neet, ossia chi né studia né lavora) e genere.
Vaga conoscenza della proposta. La prima sorpresa emerge dalla modestissima conoscenza che le ragazze e i ragazzi italiani mostrano dell’argomento. Alla domanda “Il governo italiano sta promuovendo il Servizio civile universale. Sai di cosa si tratta?”, la risposta positiva non arriva al 10% degli intervistati, mentre circa il 35% dichiara di saperne solo vagamente e il rimanente 55% praticamente non ha idea di cosa si stia parlando. Rispetto alla conoscenza, però, “i giovani del Sud si dichiarano come i più informati rispetto alla nuova proposta del governo italiano”: “solo” il 50,5% dei giovani del Sud “dichiara di non essere a conoscenza del Scu contro il 55,1% dei coetanei del Nord e il 59,1% dei coetanei del Centro”. D’altro canto “la conoscenza del Scu va di pari passo con l’importanza che i giovani attribuiscono allo stesso come strumento che consente di esprimere i propri valori e che può aiutarli a crescere”. I giovani del Centro e del Sud sono i più convinti che il Servizio civile aiuti “a veicolare i valori di solidarietà e di accrescimento”: il distacco con i coetanei del Nord è notevole su questo aspetto.
“Lo consiglierei a un amico”. L’indagine si addentra poi in numerose domande. Ma al quesito che chiede all’intervistato se svolgerebbe un’esperienza di Servizio civile, emergono altre notevoli differenze: ad esempio i giovani del Sud dicono sì nel 52,1 dei casi, quelli del Centro si fermano al 37,1 e al Nord si arriva al 22,9%. Elevatissima, invece, la percentuale (ben oltre il 70%) degli intervistati che consiglierebbe a un amico l’esperienza del Scu. Significative differenze nelle risposte si evincono in genere in base allo status, mentre tra maschi e femmine gli scostamenti sono minimi.
Opportunità di crescita. I giovani, dunque, “non conoscono il Servizio civile universale”, segnalano le tre autrici, benché lo si riconosca come “strumento importante per la crescita con importanti valenze formative, ma anche per la costruzione di cittadini attivi e intraprendenti”. Peraltro “non stupisce che al Sud più che al Nord d’Italia, e tra i Neet più che tra le altre condizioni, venga sottolineato l’aspetto remunerativo”: non è nuova, secondo le ricercatrici, “la considerazione del Servizio civile come di una sorta di ammortizzatore sociale”. Il testo si conclude con una osservazione generale. I giovani impegnati nel volontariato in Italia non vanno oltre – stando al Rapporto 2016 – il 13,4% del totale; quelli che si dicono impegnati in politica raggiungono a malapena il 5%: il Scu può però essere inteso dagli stessi giovani “come una forma istituzionale di promozione di impegno civico, accanto alla scuola e alle attività che singolarmente e in sinergia portano avanti le varie associazioni di terzo settore in Italia”.