Emergenza nel Mar Egeo

Ue-Turchia, compromesso che scricchiola. E non sostituisce una politica solidale sui rifugiati

Il complesso accordo raggiunto tra Unione europea e Ankara può essere necessario per evitare nuovi morti nell’Egeo e la tratta di esseri umani. Ma è una soluzione-tampone. Restano prioritarie la costruzione di un diritto di asilo comunitario e una risposta congiunta all’emergenza profughi

Tutti i passi avanti sulla strada verso l’unione politica dell’Europa hanno la loro origine nelle crisi, che sono generate o acutizzate dal disaccordo tra gli Stati membri. Anche se nell’affrontare gli alti e bassi del processo di integrazione si tratta sempre in primo luogo di rimuovere le cause della crisi stessa, la soluzione presuppone sempre che le istituzioni e le procedure comunitarie siano migliorate in modo che si sviluppi e si rafforzi ulteriormente il sistema politico dell’Unione europea nel senso del federalismo. Questo non è il caso degli sforzi attuati per affrontare la crisi attuale, che peraltro non è ancora stata superata.

La cosiddetta “emergenza profughi”, che è probabilmente la più grave crisi a cui è stato esposto fino ad oggi il processo di integrazione europea nella sua storia di 65 anni, ha effetti sull’Unione e sui cittadini degli Stati membri soprattutto come crisi del consenso e della fiducia o, ancora più precisamente, come una crisi della solidarietà.

L’egoismo degli Stati nazionali e la conseguente mancanza di solidarietà impediscono una fondamentale e urgente riforma della politica in materia di asilo e rifugiati.
Dopo mesi di polemiche, recriminazioni, iniziative nazionali a scapito dei vicini e della Comunità, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri nel summit del 17-18 marzo hanno trovato una soluzione provvisoria per rendere gestibile le immediate conseguenze negative dell’afflusso incontrollato di profughi dalla Turchia attraverso il Mar Egeo e i Balcani verso l’Europa. Al centro di quest’accordo è un patto con la Turchia, che s’impegna a ri-accogliere coloro che vi vengono riaccompagnati dopo essere illegalmente approdati sulle isole greche.
Tale accordo – i cui primi effetti si stanno sperimentando in questi giorni – è fortemente criticato da più parti, in primis dalle organizzazioni di aiuti umanitari e per i diritti umani, nonché da personalità ecclesiali. Rimandare indietro le persone in fuga che nella loro disperazione non hanno risparmiato nessuno sforzo e nessun rischio, dopo aver raggiunto l’obiettivo della salvezza, in un Paese come la Turchia che lascia molto a desiderare in termini di democrazia e stato di diritto, è di fatto assurdo. Tuttavia,

nella valutazione di quest’accordo con la Turchia si deve considerare che esso è il risultato di un compromesso.

Rimpatriare i rifugiati in Turchia porrà fine al traghettamento pericoloso verso le isole greche, organizzato da bande criminali in imbarcazioni precarie, dove hanno già incontrato la morte centinaia di persone. Inoltre, attraverso gli ingenti fondi messi a disposizione dall’Ue si darà un contributo significativo al miglioramento della cura e delle condizioni di vita dei circa 3 milioni di rifugiati, che almeno in parte sono in Turchia già da anni. Infine, in cambio dei rifugiati ricondotti dalla Grecia alla Turchia, un pari numero di rifugiati (per ora l’accordo ne prevede 72mila) dalla Siria che sono in Turchia, potranno giungere nell’Unione europea attraverso canali legali. In questo modo sarà possibile accogliere, ospitare e curare in modo adeguato le persone che arriveranno nei Paesi dell’Unione europea. Si risponderà inoltre all’esigenza di sicurezza attraverso un’accurata e regolare registrazione dei rifugiati accolti negli Stati.

Condizione per il successo di questo processo complesso, attivato dall’inizio di aprile, è la disponibilità degli Stati membri dell’Unione europea ad accogliere i rifugiati siriani che vengono trasferiti dalla Turchia.

Perché si realizzi un ulteriore sviluppo delle strutture e delle capacità dell’Ue è necessario il riconoscimento consensuale dei responsabili e occorre insieme rendere sicure le frontiere esterne dell’Unione, come condizione per garantire l’apertura delle frontiere interne europee, secondo quanto previsto dall’accordo di Schengen. Questa sicurezza richiede la costituzione o il rafforzamento di unità di polizia o militari a disposizione di Frontex, l’agenzia di confine già esistente, ma non sufficientemente adeguata.
Così l’Unione farà crescere e rafforzerà la sua capacità di combattere le cause dell’esodo di molti milioni di persone, cioè il suo impegno diplomatico ed eventualmente anche militare per la risoluzione dei conflitti, come pure la sua capacità di aiutare, mediante la cooperazione internazionale, a superare la fame e le altre catastrofi nei territori al di là del Mediterraneo.
Nel breve termine, tuttavia, è necessario adottare una normativa comune e vincolante in materia di asilo e rifugiati. Perché gli accordi di Dublino, che evidentemente partivano da premesse sbagliate e avevano un’ingiusta impostazione, hanno dimostrato di essere del tutto inadeguati.