Anniversario
Un “pellegrinaggio sui luoghi e nel nome” di don Primo Mazzolari. Così il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, ha vissuto la giornata di domenica 17 aprile a Bozzolo, dove nel pomeriggio, nella chiesa parrocchiale di san Pietro apostolo, ha presieduto l’Eucaristia nel 57° anniversario della morte di don Mazzolari. Presenti anche il vescovo di Cremona, monsignor Antonio Napolioni, e l’emerito, monsignor Dante Lafranconi
Don Primo Mazzolari, buon pastore sulle orme di Cristo, in sintonia con l’insegnamento di papa Francesco: è questo il messaggio lanciato domenica 17 aprile dal segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, celebrando a Bozzolo – diocesi di Cremona, provincia di Mantova – il 57° anniversario della morte di don Primo Mazzolari. Oggi – ha detto il segretario Cei – assistiamo al “proliferare di leader e leaderini, di guru e visionari interessati, di faccendieri e di replicanti senza scrupolo, che fa spesso perdere di vista ciò che, realmente e al di là delle autoproduzioni, ci rende ‘gente di Pasqua’”.
In questo contesto, l’esempio di Mazzolari, letto alla luce del Vangelo della IV domenica di Pasqua – Gv 10,27-30 – rappresenta “una provvidenziale opportunità per una riflessione serena sul nostro modo di essere Chiesa oggi, guidati dalla parola e dall’esempio di Papa Francesco”, segnatamente della sua testimonianza nella missione a Lesbo. Un modo di essere Chiesa che non ci permette di chiuderci in gruppuscoli, perché
“come cristiani dobbiamo vivere e sentirci parte di una Chiesa che è più grande del nostro gruppo”; “il nostro essere Chiesa necessita di un respiro più ampio di quello al quale ci abituano certe proposte in circolazione nei nostri ambienti”.
Per essere cristiani oggi non basta accettare Gesù come Figlio di Dio, ma bisogna “stabilire con lui una relazione segnata dallo stesso rapporto che lega il pastore con le sue pecore”; il Buon Pastore “parla”, “dà la vita eterna”, “custodisce” le sue pecore; e queste, sentendosi conosciute dal Pastore, “ascoltano la sua voce e lo seguono”: insomma, “un rapporto vero e creativo tra il pastore e le pecore”. A proposito del quale il 5 giugno 1949 “Don Primo osservava amaramente, scrivendo su Adesso: “Non conosciamo più le nostre pecore, non sappiamo chiamarle per nome una a una. Crediamo che possa bastare il generico, mentre c’è un bisogno di essere capiti come siamo e di essere portati a spalla sull’esempio del buon pastore”. Da qui l’appello ad
essere pastori secondo lo stile di Gesù;
ed è tornato, mons. Galantino, a una citazione di don Primo a Rho: “Non c’è che una maniera secondo il Vangelo per essere un buon pastore, ed è questa: dare la vita per le proprie pecorelle. Il buon pastore non può accontentarsi di dare qualche soldo in elemosina, un po’ di roba, un po’ di tempo, ma deve dare la vita”. E, citando altre parole di don Primo a Rho: “Questa è la bontà che distingue il pastore vero dal mercenario: bontà che costa, bontà che non lascia mangiare in pace quando c’è qualcuno vicino a noi, nel nostro popolo, che non ha quello che ha il diritto di avere come uomo, come fratello nostro e come fratello di Cristo. Bontà che non rende; bontà di cui non si può aspettare nessuna ricompensa sul piano terrestre…”. Questo è il pastore che le pecore “ascoltano” e “seguono”. Questi verbi, ha sottolineato Galantino, ci indicano “in che maniera noi dobbiamo corrispondere agli atteggiamenti teneri e “pastorali” di Gesù.
Ascoltare e riconoscere la sua voce implica intimità con lui;
una intimità tale da suscitare il desiderio di seguirlo, uscendo dal labirinto del non senso e abbandonando gli atteggiamenti servili per incamminarsi per strade nuove, indicate da Cristo stesso. Ed ha aggiunto il vescovo: “Quando nelle nostre comunità manca il desiderio di vivere così il nostro rapporto con Gesù è inevitabile che si facciano strada altri modi di pensare e di vivere. Si possono fare strada quelle tentazioni più volte stigmatizzate da don Primo, come la tentazione di stare nel mondo con l’unico obiettivo di aggirare gli ostacoli con abilità assicurandosi posizioni di potere/prestigio, oppure garantendosi, dietro il paravento del Vangelo, vantaggi di corto respiro”.
E ha concluso, ancora con parole di don Primo: “Chi ama non cerca mai l’affare, non fa commercio del suo amore”. Il cristiano, insomma, nel suo amare Cristo, si confronta sempre con la sua Parola, in virtù della quale non perde mai “il gusto della verità, anche in situazioni conflittuali”, perché questa, scriveva don Primo, è parola “che è spada e tritolo, che spacca e sommuove, sa urlare e imprecare; è una grazia che bisogna domandare, a costo di finire come di solito finiscono i profeti. Questa parola che non rende, che brucia e consuma chi la porta, è la sola che il popolo può ancora capire…”.