La mia Porta Santa

Da San Pietro ad Amman. La porta di questa chiesa di profughi è diventata la “mia” Porta della misericordia

Il sacerdote di una parrocchia di Amman mi aveva invitato a celebrare l’Eucaristia con alcuni rifugiati cristiani iracheni. Entrando per la porta dalla sacrestia li ho visti. Erano tante famiglie con i loro bambini. Un padre raccontava la sua storia: la famiglia aveva cambiato luogo sette volte, a causa dell’Isis.Avevano soltanto tre opzioni: convertirsi all’Islam, essere sottomessi e pagare le tasse come cittadini di seconda serie, venire eliminati. Un fratello è stato assassinato, un altro sequestrato. Allora non hanno visto altra possibilità che fuggire per restare fedeli alla loro fede cristiana. E adesso? Non conoscono il futuro

L’8 dicembre ero presente all’apertura della Porta Santa di San Pietro. Tutti, nella Cappella pontificia, abbiamo seguito Papa Francesco attraversare la Porta Santa, tutti nei nostri abiti e zucchetti di diversi colori. Mi sono domandato, però, se è questo che Gesù ha chiesto. Sì, tutti quelli che hanno attraversato la Porta Santa hanno seriamente bisogno della misericordia divina e umana.

Ci ho pensato di nuovo qualche giorno fa, quando mi trovavo in Giordania. Il sacerdote di una parrocchia di Amman mi aveva invitato a celebrare l’Eucaristia con alcuni rifugiati cristiani iracheni. Entrando per la porta dalla sacrestia li ho visti. Erano tante famiglie con i loro bambini. Un padre raccontava la sua storia: la famiglia aveva cambiato luogo sette volte, a causa dell’Isis.

Avevano soltanto tre opzioni: convertirsi all’Islam, essere sottomessi e pagare le tasse come cittadini di seconda serie, venire eliminati.

Un fratello è stato assassinato, un altro sequestrato. Allora non hanno visto altra possibilità che fuggire per restare fedeli alla loro fede cristiana. E adesso? Non conoscono il futuro. Per il momento trovano rifugio in uno Stato fortunatamente accogliente, la Caritas si occupa dell’alloggio e della formazione scolastica dei bambini. Ma quale sarà il futuro di questi padre, madre e tre figli? Non lo sanno. La speranza muore a poco a poco.

Non è stata l’unica testimonianza. Gli altri rifugiati avevano storie simili. La preoccupazione principale: non avere un lavoro… E sappiamo cosa significhi essere senza lavoro per un padre di famiglia a 30 o 40 anni. Ma anche non avere una casa e non poter offrire un’educazione ai bambini. Una donna, che è stata professoressa di lingue, avrebbe voluto insegnare di nuovo e guadagnarsi da vivere. Una sofferenza enorme e continua: tutto perché non abbandonano la fede cristiana. Che testimonianza! Ho incontrato in loro Gesù sofferente. E mi sono unito con loro nella celebrazione eucaristica. Il mistero del sacrificio di Cristo è diventato reale in mezzo a noi in una maniera assai densa.

E il perdono? Loro hanno lasciato la patria, si sono messi alle spalle tutto come fece un tempo il patriarca Abramo. È stata dura ma non pensano più al passato, cercano un futuro.

Il perdono è difficile quando le ferite sono ancora aperte, quando si sta ancora in mezzo ai tormenti. Ma celebrare il mistero della fede – di Gesù crocifisso e risorto – è già il segno del perdono.

Tutti hanno perdonato nel Padre nostro, pregando come Gesù ci ha insegnato: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. In quel momento non avevo il coraggio di guardarli. Ma sentivo le loro voci forti. Sono stato vicino alle lacrime. Che cosa stava accadendo nei loro cuori? Non credo che abbiano pregato superficialmente. Queste parole ci sfidano.

La porta di questa chiesa è diventata la “mia” Porta della misericordia. Ho visto la misericordia di Dio che ha salvato la vita di queste famiglie, la misericordia di Dio che si è manifestata nell’accoglienza degli stranieri ad opera dei musulmani e della Caritas cristiana. Ho sperimentato la misericordia di Dio nella celebrazione del mistero del suo Figlio incarnato, crocifisso e risorto, di un Dio che ci ama e ci viene incontro per darci il perdono quando lo chiediamo e già prima. Mi sono sentito unito con questi rifugiati nella preghiera di Gesù.

La sofferenza continua, come abbiamo visto con la strage di Bruxelles. È il peccato che regna ancora in questo mondo. Ma c’è la speranza. Dio, nella sua infinita e instancabile misericordia, ci ha aperto la porta verso la luce della Risurrezione. La porta della misericordia non è soltanto la nostra porta della penitenza e della contrizione, ma è la porta della speranza che ci conduce alla vita nuova. Quando ho lasciato la “mia” Porta della misericordia nella città di Amman, ho portato i dolori dei rifugiati nel mio cuore e nelle mie preghiere.