40 anni dopo
Noi che abbiamo vissuto quella tremenda stagione del post-terremoto possiamo testimoniare la gioia del vivere insieme, pur nel disagio di una tenda, del mangiare insieme e soprattutto del chiedersi insieme cosa fare, come organizzarsi, come provvedere al futuro della propria famiglia, del proprio borgo, del proprio paese, del Friuli terremotato
È fuor di dubbio che se il Friuli riuscì a sopravvivere, anzi a rinascere dopo il disastroso terremoto del 1976 lo si deve proprio al fatto che il popolo friulano aveva e ha una sua propria identità, una sua storia, una sua cultura, una sua religiosità, una sua lingua, che lo ha caratterizzato per almeno due millenni.
Lo dicono i sociologi (Bruno Tellia, Ulderico Bernardi), lo dicono gli urbanisti che hanno provveduto alla ricostruzione dei paesi disastrati (G.P. Nimis), lo hanno scoperto i numerosi giornalisti che hanno attraversato le macerie dopo e durante il sisma del 1976.
Per i friulani non era una novità, loro semplicemente vivevano la loro condizione di popolo. A dire il vero non erano, fino al catastrofico evento, troppo consapevoli della loro identità culturale.
È stato proprio quel cataclisma a risvegliare in loro le radici del loro essere popolo, non un qualunque popolo, ma appunto il popolo friulano.
Un risveglio brusco in terra friulana che si è riverberato immediatamente a livello mondiale grazie agli oltre due milioni di friulani emigrati nei diversi continenti. Da subito e da tutti i continenti i friulani nel mondo si sono immedesimati e stretti ai friulani vittime del terremoto. Li univa una stessa profonda e originale identità, fatta di un modo di vedere e di giudicare la realtà, di un modo di reagire di fronte alle avversità.
La storia di duemila anni ha forgiato questo popolo in forme particolari, non vogliamo dire straordinarie perché ogni popolo ha una sua identità straordinaria, ma vogliamo sottolineare che ciò che caratterizza il popolo friulano non può essere confuso con qualunque popolo.
Anzitutto un’apparente durezza di modi e di atteggiamenti che gli impediscono di fluire dopo la disgrazia in lamenti e fiumi di lacrime e lo impegnano subito a chiedersi cosa fare e lo spingono a rimboccarsi le maniche, che non gli consentono né di piangersi addosso né di adagiarsi in atteggiamenti da postulante o da questuante.
Durezza, orgoglio e dignità
che hanno fatto subito rialzare i friulani usciti dalle macerie e subito li hanno spinti sui tetti delle case sbrecciate. Subito hanno favorito una coesione e rafforzato il senso dell’essere una comunità. Chi non ricorda anche con una certa nostalgia la grande fraternità e condivisione di vita vissute nelle tendopoli e nelle baraccopoli, lo spartire quel poco o quel niente che si aveva con tutti gli altri.
Noi che abbiamo vissuto quella tremenda stagione del post-terremoto possiamo testimoniare la gioia del vivere insieme, pur nel disagio di una tenda, del mangiare insieme e soprattutto del chiedersi insieme cosa fare, come organizzarsi, come provvedere al futuro della propria famiglia, del proprio borgo, del proprio paese, del Friuli terremotato.
Ne sono testimonianza le assemblee popolari che una settimana dopo il terremoto han cominciato a fiorire in tutti i paesi terremotati. Assemblee dove si discuteva animatamente eppure pacatamente della condizione presente e delle prospettive di futuro. E dopo le assemblee le manifestazioni popolari per sollecitare dai responsabili politici, statali e regionali, una soluzione decente e partecipata al disastro del terremoto. La rivendicazione di un ruolo non passivo dei friulani nel progetto di ricostruzione-rinascita.
E in questo il ruolo indispensabile della Chiesa friulana, dei suoi preti e dei suoi laici, in prima linea nell’affermare il protagonismo del popolo friulano e nel prospettare i problemi per un futuro di rinascita di tutto il popolo friulano.
Questo a sottolineare l’apporto sostanziale della tradizione religiosa del popolo friulano e il senso di dignità di questo popolo. Una dignità declinata dal modo di essere famiglia, borgo e paese, del modo di parlare una lingua particolare, quella friulana, del modo di vivere la solidarietà, l’apertura al mondo insieme a un forte senso dell’autonomia, una cultura antica unita a una religiosità profonda. Insomma, a fare la differenza, un popolo friulano ben identificato.
(*) già direttore del settimanale diocesano di Udine “la Vita Cattolica”