In morte di un figlio
In un libro scritto da don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, e da donne che hanno perso i loro bambini per tumori la testimonianza di come l’inquinamento irresponsabile possa stravolgere la vita di chi avrebbe dovuto avere il diritto di vivere in totale libertà e gioia: i bambini
“Terra. Terra mia. Terra nostra. Terra martoriata e bella. Terra di fumi e di veleni. Amica dolcissima dei miei antenati. Oggi tanto umiliata e calpestata. Gemi. Fino al cielo sale il tuo lamento. Boccheggi. Ma ancora non ti arrendi. Lotti. Fino allo stremo ti difendi. Non vuoi morire. Madre. Figlia. Sorella”. Sono le parole che don Maurizio Patriciello, parroco a Caivano, dedica a quella che oggi è a tutti nota come la Terra dei fuochi, “la fascia di territorio a cavallo delle province di Napoli e Caserta”, diventata “lo sversatoio illecito di milioni di tonnellate di rifiuti industriali altamente tossici e nocivi per la salute, provenienti in gran parte dal Nord e dal Centro Italia, e anche dall’estero”. Queste parole di amore e di dolore per la terra un tempo amica e oggi foriera di morte Patriciello le mette nero su bianco nel libro “Madre Terra. Fratello Fuoco” (Edizioni San Paolo), scritto insieme alle mamme di alcuni bambini, morti di tumore o leucemia, nella Terra dei fuochi.
Testimonianze di un dolore che strazia l’anima, ma che si traduce in solidarietà verso chi soffre le stesse pene e non uccide la speranza, malgrado tutto.
“Un documento di carne e di sangue, un testimone che ha lo scopo di raccontarvi la verità per non farvi dimenticare il sacrificio di chi avrebbe dovuto avere il diritto di vivere la vita in totale libertà e gioia: i bambini”, scrive nella prefazione Beppe Fiorello, attore che ha interpretato in una fiction Roberto Mancini, il primo poliziotto che ha indagato sullo sversamento illegale di rifiuti nella Terra dei fuochi.
Cuore aperto alla solidarietà. Protagonisti del libro sono le mamme e, attraverso i loro ricordi, i loro figli, morti per malattie rare in bambini così piccoli.
Mamme che hanno saputo cambiare la loro sofferenza in amore, fondando l’associazione onlus “Noi genitori di tutti”,
con la quale sono accanto, umanamente e materialmente, alle famiglie che cominciano a vivere lo stesso calvario: dai buoni di benzina agli alimenti, dalle spese di viaggio a quelle per i controlli specialistici, dai consigli pratici su come muoversi nei primi momenti di smarrimento al conforto. “In quell’ospedale ho trovato anche una famiglia: quelle mamme che mi guardavano e che guardavo, all’inizio con sospetto. Sono diventata una di loro. Mi hanno insegnato come andare avanti, le ho visto combattere come me e dire addio ai loro bambini”, confessa la mamma di Mesia, morta a circa quattro anni per un neuroblastoma surrenale.
Crescere in fretta. “Guarire. Far crescere i capelli. Suonare la chitarra. Fare danza. Laurea. Sposarmi. Avere una casa. Guardaroba pienissimo. Casa in America”. Sono le “cose da fare” che si era prefissata Francesca, detta Chicca, ultima di tre sorelle, morta a causa di una rarissima forma di leucemia. Nel periodo della malattia ha scritto un diario che la famiglia ha ritrovato dopo averle detto addio.
Quando le chiedevano come stava, la piccola rispondeva: “Barcollo, ma non mollo”.
Sulla prima pagina del diario il sogno di guarire: “La mia vita è come un ballo, all’improvviso uno stop ha fermato la musica, ma io spero di poter schiacciare play per continuare a ballare”. Ma sul suo diario scriveva anche: “Circa un anno fa ho incontrato la leucemia, una malattia di cui conoscevo solo la parola. Ora so tutto e soprattutto i dolori e le conseguenze. Ma… come si dice? Ognuno ha la sua croce! E questa è la mia. Con il tempo mi sono affidata a Dio per contribuire a realizzare i progetti che ha per me”. Una bambina che è dovuta crescere in fretta: “Chi si lamenta delle sciocchezze mi snerva… Ma che ne sa della vita? Stare a casa nel periodo di Natale, mangiare tutto ciò che si desidera, andare a scuola, farsi lo shampoo, stirarsi i capelli… Io non do neanche più valore ai soldi, ora mi interessa solo la vita”.
Il vero perdono. C’è poi la storia della giovane donna che ha scoperto, a un mese dal matrimonio, di avere un cancro. Anticipata subito la data delle nozze, dopo viene ricoverata, ma le speranze per lei sono “veramente poche”. “La disperazione – dice -, però, non ha mai bussato alla mia porta perché, avendo una forte fede, mi sono affidata alla preghiera”. Dopo un anno è guarita, ma è restata sterile. Malgrado la rabbia, osserva: “Odiare chi ha contaminato la mia terra non sarebbe servito a nulla. Ho scelto da subito il perdono. Il mio è un punto di vista privilegiato perché sono guarita, ma in realtà il perdono è arrivato molto prima”. Eppure, chiarisce, “il perdono non esclude la sete di giustizia”. Infatti,
“il perdono senza la giustizia non è amore verso il prossimo. Non è amore vero”.
Lodato sia il Signore per mia madre terra… Storie di donne, per lo più madri di vittime, che non maledicono la loro terra e che non la lasceranno, storie di donne generose che hanno tratto il loro coraggio da quello dei loro figli. Ogni storia si conclude con un “Lodato sia il Signore per la mia madre terra, Terra dei fuochi”, terra, quindi, che non si vuole abbandonare né che si maledice perché ha portato via i figli, ma che si ama nel loro ricordo e per la quale si vuole giustizia e risanamento perché non ci siano altre mamme che debbano piangere i loro piccoli. “Qui sono nata e qui sono cresciuta – scrive una di loro -: non andrò via. Soprattutto adesso che conosco la sua ferita. Chi la curerà se andremo via tutti? Non ho paura!”.