Misericordia

Papa Francesco e Giacomo Cusmano: dallo scarto alla solidarietà

Giacomo Cusmano (1834-1888), promettente medico, nel 1860 scelse di diventare prete e di dedicarsi al servizio verso i poveri nel capoluogo siciliano. Ideò il “Boccone del Povero”, un’associazione con finalità caritative che presto si sarebbe trasformata nell’istituto religioso delle Suore Serve dei Poveri e in quello dei Fratelli e dei Sacerdoti Servi dei Poveri. Per Cusmano si trattava di guardare con occhi nuovi tutto e tutti, trasfigurando quella che oggi potremmo chiamare con papa Francesco la “cultura dello scarto” in “cultura della solidarietà”

Tra le pagine di Francesco sulle opere di misericordia corporale e spirituale, raccolte in antologia e riproposte nel volume “Le opere di misericordia, centro della nostra fede”, di recente edito dalla Libreria Editrice Vaticana, fanno capolino alcuni “aneddoti”, come li chiama il Papa stesso, che testimoniano l’efficacia concreta della compassione e della solidarietà ispirate dal Vangelo.

Fra gli episodi attinti da Francesco alla propria memoria autobiografica ne spicca uno che curiosamente induce a rievocare la storia di carità impersonata nella seconda metà dell’Ottocento, a Palermo, dal beato Giacomo Cusmano (1834-1888), promettente medico che – lasciandosi interpellare dalla povertà e dai poveri della sua città – nel 1860 scelse di diventare prete e di dedicarsi al servizio verso i poveri nel capoluogo siciliano. Così, dunque, Francesco durante l’Angelus dell’8 novembre 2015:

“Mi permetto di raccontarvi un aneddoto, che è successo nella mia diocesi precedente. Erano a tavola una mamma con i tre figli; il papà era al lavoro; stavano mangiando cotolette alla milanese… In quel momento bussano alla porta e uno dei figli – piccoli, 5, 6 anni, 7 anni il più grande – viene e dice: ‘Mamma, c’è un mendicante che chiede da mangiare’. E la mamma, una buona cristiana, domanda loro: ‘Cosa facciamo?’ – ‘Diamogli, mamma…’ – ‘Va bene’. Prende la forchetta e il coltello e toglie metà ad ognuna delle cotolette. ‘Ah no, mamma, no! Così no! Prendi dal frigo’ – ‘No! facciamo tre panini così!’. E i figli hanno imparato che la vera carità si dà, si fa non da quello che ci avanza, ma da quello ci è necessario. Sono sicuro che quel pomeriggio hanno avuto un po’ di fame… Ma così si fa!”.

Circa un secolo e mezzo prima una cosa del genere avveniva proprio a Palermo, a casa del dott. Michele De Franchis, amico di padre Cusmano, dove c’era la consuetudine, durante ogni pranzo, di mettere da parte per i poveri un “boccone” preso dal piatto di ciascun commensale. La guida spirituale del giovane Cusmano, mons. Domenico Turano, sapendo della cosa, suggerì al suo discepolo di trarre esempio da quel quotidiano gesto di misericordia e il giovane sacerdote palermitano giunse quindi a ideare quello che avrebbe chiamato appunto

il “Boccone del Povero”,

un’associazione con finalità caritative che presto si sarebbe trasformata nell’istituto religioso delle Suore Serve dei Poveri e in quello dei Fratelli e dei Sacerdoti Servi dei Poveri.

L’intuizione misericordiosa da cui era scaturito il “Boccone del Povero” venne sempre più e meglio messa a fuoco dal beato Cusmano, il quale ne illustrò spesso il senso, specialmente nelle lettere spedite a coloro che egli tentava di coinvolgere nella sua impresa. Tra questi il cappuccino Daniele da Bassano, confessore di papa Leone XIII, cui Cusmano scrisse il 19 maggio 1882 una lunga relazione sulla sua Opera al fine di spiegargli i motivi per cui chiedeva la considerazione e il sostegno del Pontefice. In quelle pagine, e nelle altre simili incluse nel suo epistolario, il Boccone del Povero – che “consisteva nel raccogliere” per i poveri “dalle buone famiglie un boccone, da prelevarsi dal pasto giornaliero” – veniva ricondotto entro la misura umile di quello che Cusmano definiva “un sol pensiero”:

“E dico un sol pensiero, poiché l’opera non richiede altro che un boccone di quella provvidenza che il Signore largisce, e tutto ciò che d’inservibile possa trovarsi nelle famiglie, come cenci, ossa, vetro, carta e financo le stesse cose superflue da molti buttate nella spazzatura”.

Quel “sol pensiero” non era certo l’ossessione di un raccattatore di cianfrusaglie. Si trattava per il beato Cusmano di guardare con occhi nuovi tutto e tutti, trasfigurando quella che oggi potremmo chiamare con papa Francesco la “cultura dello scarto” in “cultura della solidarietà”.