Dialogo in Vaticano

Monsignor Ayuso: il dialogo dell’amicizia di Papa Francesco è una via di pace per il mondo

L’impegno a costruire ponti assieme ai fratelli di altre religioni, di cercare in loro degli alleati per prevenire ogni guerra, condannare tutte le violenze consapevoli che “una fede in Dio sincera apre all’altro, genera dialogo e opera per il bene”. E’ questo il “futuro” del dialogo interreligioso e a delinearlo è monsignor  Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso.

“Non è azzardato dire che non passa giorno senza che papa Francesco non faccia riferimento alla importanza del dialogo interreligioso”. Perché il mondo è diventato “più piccolo”, il fenomeno delle migrazioni irrompe e i contatti tra persone e comunità di tradizioni e culture diverse sono aumentati. Il dialogo è una “priorità” perché è via per combattere la cultura dello scarto e costruire una pace giusta e duratura. A parlare del rapporto profondo che il Papa ha con i leader delle altre religioni è mons. Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Sono passati pochi giorni dall’incontro in Vaticano di papa Francesco con lo sceicco Ahmed al Tayyeb, Grande Imam di al-Azhar, la celebre università musulmana sunnita del Cairo. Di quell’incontro, mons. Ayuso è stato uno degli artefici e intervenendo alla scuola del Dialogo interreligioso promosso in questi giorni a Castel Gandolfo dal Movimento dei Focolari ha ancora in mente l’abbraccio tra il Pontefice e l’imam. “C’è una umanità ferita che ha bisogno di essere guarita. Come possiamo collaborare se siamo divisi… Il mondo ha bisogno di questi segni, di vedere i leader religiosi che si incontrano per guarire l’umanità dai mali che la affliggono”. La strada del dialogo con le religioni ha una storia lunga  50 anni. Dal dialogo con il mondo di Paolo VI, al dialogo della pace di Giovanni Paolo II, e il dialogo della carità nella verità di Benedetto XVI per giungere oggi – dice mons. Ayuso – alla sfida del ‘dialogo dell’amicizia’, annunciato da Francesco”.

Dialogo dell’amicizia. Come si caratterizza?

Il dialogo dell’amicizia proposto dal Santo Padre non ha niente di semplicistico, superficiale o buonista. E’ esigente. Per dialogare è necessario avere un’identità. Senza questa identità ben formata il dialogo potrebbe addirittura rivelarsi inutile o, peggio ancora, dannoso e condurre al relativismo e al sincretismo. Avere un’identità ben radicata non va a scapito dell’amicizia. Anzi la propria identità può aiutare a provare sentimenti profondi di empatia e condivisione nei confronti dell’altro.

E come si pratica questo tipo di dialogo? 

E’ evidente che quando Papa Francesco chiede di praticare il dialogo interreligioso dell’amicizia non si riferisce ad un ideale astratto.

Richiede buona disponibilità d’animo ed apertura di cuore.

Il mondo è, in qualche modo, diventato “più piccolo”, anche perché il fenomeno delle migrazioni aumenta i contatti tra persone e comunità di tradizione, cultura, e religione diversa. Questa realtà interpella la nostra coscienza di cristiani, è una sfida per la comprensione della fede e per la vita concreta delle Chiese locali, delle parrocchie, di moltissimi credenti.

Qual è per Papa Francesco lo scopo del dialogo? 

Tutto l’insegnamento di Papa Francesco è un’esortazione a costruire ponti e non muri, a guardare con misericordia alla vita degli altri, ad avere compassione del povero, a lavorare insieme per il bene della nostra casa comune che è il Creato. La prospettiva, allora, e lo scopo del dialogo, è quella che grazie ad un’autentica collaborazione fra credenti si lavori per contribuire al bene di tutti, lottando contro le tante ingiustizie che ancora affliggono questo mondo e condannando ogni violenza. Da tutto ciò possiamo dedurre che il dialogo interreligioso ha una funzione essenziale per costruire una convivenza civile, una società che includa e che non sia edificata sulla cultura dello scarto.

Fino a contribuire a costruire la pace. 

Illuminanti in questo senso sono le parole di Sua eminenza il cardinale Parolin, segretario di Stato di Sua Santità. In un recentissimo intervento al Senato della Repubblica italiana ha così affermato: ‘Un compito nuovo, quindi, si prospetta per il dialogo interreligioso, quello di spingere i leader religiosi e le loro comunità ad essere, e ad agire, come strumenti di pace e di pacificazione, anche verso i propri governi’. Si tratta indubbiamente di un compito impegnativo a cui, però non ci si può sottrarre.

Molti ritengono che il dialogo interreligioso sia un’attività accessoria.

Le divisioni del mondo, oltre che quelle religiose, direbbe Papa Francesco una ‘terza guerra mondiale a pezzi’, chiedono dialogo, lo impongono come strumento indispensabile per fare dei passi in avanti nella convivenza tra gli uomini e tra i popoli.

A questo punto direi che il dialogo interreligioso non è un lusso, al contrario è qualcosa di necessario ed essenziale, al servizio del bene comune.

Ciò vuol dire che deve diventare una realtà ordinaria, quotidiana, nel rapporto tra  le religioni.

Qual è allora il futuro del dialogo?

L’impegno a costruire ponti assieme ai fratelli di altre religioni, di cercare in loro degli alleati per prevenire ogni guerra, condannare tutte le violenze consapevoli che una fede in Dio sincera apre all’altro, genera dialogo e opera per il bene, mentre la violenza nasce sempre da una mistificazione della religione stessa. Ha detto Papa Francesco lo scorso novembre, all’indomani degli attacchi terroristici a Parigi: “Voglio riaffermare con vigore che la strada della violenza e dell’odio non risolve i problemi dell’umanità. Utilizzare il nome di Dio per giustificare questa strada è una bestemmia”.