Guerra al terrorismo
“Persone con profili molto differenti tra loro ma uniti da un filo conduttore comune: essere individui squilibrati, violenti e in certi casi radicalizzati”. Così Matteo Bressan, analista presso il Nato Defense college Foundation, traccia il profilo dei cosiddetti “lupi solitari”, cui vengono attribuite le stragi, “ispirate all’Isis”, di san Bernardino, Orlando e Magnanville. Nulla a che vedere con gli attentati “pianificati dall’Isis” al Bataclan di Parigi, e all’aeroporto di Zaventer a Bruxelles. “Squilibrati insospettabili e senza legami con l’Isis” che rappresentano una seria minaccia difficile da fronteggiare. Perché un conto è fare fronte a una rete terroristica organizzata, altro è avere a che fare con un nemico singolo, interno e per questo mimetizzato. Una sfida che non si risolve solo sul piano militare ma anche su quello culturale.
“Quanto accaduto a san Bernardino, a Orlando e a Magnanville, vicino Parigi, non si può paragonare alla strage del Bataclan, a Parigi, né tantomeno all’attentato all’aeroporto di Zaventer a Bruxelles. In tutte queste occasioni si è semplicisticamente parlato di lupi solitari ma, mentre nei casi di Parigi e Bruxelles possiamo parlare di attacchi organizzati e pianificati dall’Isis, per le altre stragi sarebbe più appropriato parlare di azioni ispirate all’Isis”. Così Matteo Bressan, Emerging Challenges analyst presso la Nato Defense college Foundation (think tank internazionale specializzato nel dialogo tra attori istituzionali, civili, militari accademici e lo studio di tematiche attinenti l’attualità geopolitica) e analista per l’area Medio Oriente de “Gli occhi della guerra”, il primo sito in Italia di crowdfunding per reportage in territori di guerra, parla al Sir del fenomeno dei “Lupi solitari” salito alle cronache dopo sanguinosi attacchi di matrice terroristica. “Gli attentati di san Bernardino, Orlando e Magnanville sono state condotti da persone con profili molto differenti tra loro ma uniti da un filo conduttore comune: essere individui squilibrati, violenti e in certi casi radicalizzati”.
Persone per lo più squilibrate che tuttavia avevano dichiarato fedeltà all’Isis…
Dichiarare fedeltà all’Isis alla vigilia di una strage, come nel caso di Orlando e Magnanville, può esser considerato un gesto per giustificare le proprie azioni e diventare un eroe per una parte dell’opinione pubblica. Tuttavia questo non è sufficiente per ascrivere tali atti di violenza esclusivamente al radicalismo religioso. Non vi è dubbio, poi, che l’Isis si affretti sempre ad appropriarsi di queste azioni per fini di propaganda e dimostrare all’opinione pubblica di poter attaccare in tutto il mondo per suscitare paura e reclutare nuovi seguaci.
La strategia di Isis di colpire con persone ‘non attenzionate’ dall’Intelligence può essere un segno del suo indebolimento sul piano militare?
Per comprendere la minaccia dei lupi solitari dobbiamo tornare alla chiamata globale al jihad di al Baghdadi del giugno del 2014. In quell’occasione il Califfo invitava tutti i fedeli a recarsi in Siria e in Iraq per la costruzione del Califfato e, al tempo stesso, invitava coloro che non potevano recarsi nel Siraq a combattere nel proprio paese. Rispetto al 2014 lo scenario del Siraq è cambiato. L’Isis non è più in grado di attirare migliaia di foreign fighters. Oggi, anche a seguito dei raid delle due coalizioni a guida Usa e Russia l’Isis ha subìto ingenti perdite e negli ultimi 12 mesi il numero di foreign fighters è diminuito del 90% secondo il Pentagono. Alla luce di questo scenario è possibile comprendere il significato dell’appello del portavoce dell’Isis, al Adnani, che ha esortato a compiere attacchi in Usa e in Europa durante il Ramadan.
In questa fase la minaccia è duplice perché da una parte vi sarà il ritorno nei paesi d’origine di chi si è recato a combattere in Siria e Iraq, ma ci saranno anche una serie di squilibrati insospettabili e senza legami con l’Isis che potranno recepire l’appello di al Adnani.
Avere a che fare con un gruppo radicale che gode di reti e finanziatori in teoria è più facile che non prevenire l’atto di un singolo, un nemico interno e per giunta mimetizzato. In che modo l’intelligence dei vari Paesi può fronteggiare questa minaccia?
Più di 40 anni di non gestione o non soluzione delle banlieue in Francia, così come la progressiva marginalizzazione del quartiere Molenbeeck, hanno nutrito una generazione di terroristi, o meglio di persone reclutabili.
Non voglio dire che vi siano migliaia di musulmani pronti ad accoltellare chiunque, ma che la quantità di persone squilibrate supera la capacità dei servizi di sicurezza che pure, dopo gli attacchi di Bruxelles, hanno smantellato due reti terroristiche in Francia e in Belgio. Dure sconfitte per l’Isis anche perché ricostruire delle reti, dotarle di esplosivo e armi da fuoco, non è semplice. Più difficile è invece sorvegliare individui a rischio o monitorare soggetti che si vanno radicalizzando e che da un momento all’altro possono compiere azioni violente. Come detto dall’ex capo dell’antiterrorismo francese, Louis Caprioli, sono oltre 1.500 gli obiettivi sensibili da monitorare presenti nella sola regione parigina. Inoltre per poter sorvegliare una persona sospetta ne servono all’incirca venti.
Sarà anche una battaglia culturale e non solo militare e di intelligence quella che aspetta l’Occidente. Ma quali armi culturali usare?
La soluzione militare non può risolvere tutto e nemmeno evitare che in futuro qualcosa di analogo possa ripetersi. Oggi la galassia jihadista va ben oltre il Nord Africa e il Medio Oriente e si estende fino all’Asia – Pacifica.
È difficile immaginare una ricetta vincente per affrontare la complessità di questa particolare fase storica in cui gli attuali scontri geopolitici e confessionali si sovrappongono a conflitti tribali, profonde diseguaglianze sociali e all’emergere di organizzazioni criminali in grado di sviluppare economie superiori a quelle degli stati nazionali.
Sarei infine prudente nel caratterizzare in maniera marcatamente religiosa i fenomeni cui stiamo assistendo, anche perché la stragrande maggioranza del mondo musulmano non riconosce nessuna autorità al Califfato di al Baghdadi che si sta caratterizzando sempre più per essere un parastato criminale, spietato verso chiunque non si pieghi alle sue logiche, sia esso sciita, sunnita o cristiano.