Chiesa e società

Vescovi della Calabria: “La ‘ndrangheta è l’antievangelo”. In un volume 100 anni di documenti contro la malavita

Il testo, che ha come sottotitolo “Il percorso comune delle Chiese di Calabria nell’impegno di testimoniare il Vangelo (1916-2016)”, riporta i documenti degli ultimi 100 anni delle Chiese calabresi. “La ‘ndrangheta è l’antievangelo” riprende i discorsi pronunciati da Giovanni Paolo II nel corso della sua visita pastorale in Calabria dell’ottobre 1984, visti come “annuncio di speranza”, la visita di Benedetto XVI il 9 ottobre 2011 con “l’invito alla fede dei calabresi come antidoto alla criminalità organizzata”, il recente intervento di Francesco del 21 giugno 2014 a Cassano all’Jonio. Il tentativo dei vescovi, si legge nella presentazione, è di “ridare un’anima al popolo di Dio”. Perché nessuno in Calabria si faccia “rubare la speranza”.

C’è una Calabria dal volto pulito che in questi giorni fa rumore. Sono i giovanissimi degli oratori e dei grest attivi nelle diocesi e nelle parrocchie. C’è una Calabria che, attraverso le mani sporche di tanti sacerdoti e laici impegnati, si fa segno e benedizione per gli ultimi e i piccoli della sua terra. Sono le immagini più efficaci da contrapporre a tante brutture che in questo lungo lembo di terra si perpetuano da troppo tempo. C’è una Chiesa che crede a una Calabria nuova, laddove le incrostazioni del crimine possano essere scalfite. Ne dà riscorso il testo, uscito in questi giorni, “La ‘ndrangheta è l’antievangelo”, della Conferenza episcopale calabra (Cec), curato da don Filippo Curatola, già direttore dell’“Avvenire di Calabria” (Reggio Calabria-Bova), don Enzo Gabrieli, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Cosenza-Bisignano, e don Giovanni Scarpino, direttore dell’Ufficio regionale per le comunicazioni della Cec.

Il volume recupera un secolo di documenti delle Chiese di Calabria nell’impegno di testimoniare il Vangelo. Contro ogni forma di religiosità che lo tradisca. Perché di questo si tratta, di rimanere fedeli al mandato ricevuto, senza trad-ire, passare oltre gli ideali di una missione “alla luce della buona novella di Gesù Cristo”.

“Là dove la piovra della criminalità organizzata attecchisce e miete ancora vittime, la Chiesa non si limita a far eco, ma dichiara di possedere l’antidoto al veleno mafioso, convinta che contro ogni mafia non basti denunciare, prevenire, punire, ma occorra annunciare da capo il Vangelo della misericordia, della pace e della conversione, in uno sforzo corale di nuova evangelizzazione”.

Le parole del presidente dei vescovi calabresi, monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro, nella presentazione del volume, rendono ragione dello spirito di un impegno che parte da lontano, ma trova la sua eco forte ancora oggi. Una eco, concreta. Perché in quei campetti parrocchiali, con le loro magliette colorate, i giovani imparano – non è giuridico il termine ma indica la comunionalità – a non essere scomunicati, per ricordare una parola utilizzata da Papa Francesco il 21 giugno 2014 a Cassano all’Jonio a proposito degli affiliati alle organizzazioni malavitose. Imparano a condividere e condividersi, a superare ogni egoismo e ogni sopraffazione.

L’azione educativa è il vero argine alla mafia.

Anche le feste religiose, tante in questi lidi, sono l’occasione per vivere una fede sana. Perché i rischi di abusi sono tanti. Lo denunciavano i vescovi calabresi già nella lettera collettiva del 1916: “Mentre da una parte amiamo, le veneriamo, le vere processioni, dall’altra non possiamo fare a meno di deplorare (…) una quantità di abusi inqualificabili”. Già allora i vescovi erano preoccupati per tutte quelle statue che “sostano davanti la casa del procuratore A o dell’offerente B”.

In cento anni la Conferenza episcopale calabra non è rimasta con le mani in mano. “Ansia pastorale” – la definisce monsignor Salvatore Nunnari, arcivescovo emerito di Cosenza-Bisignano, nell’intervista che chiude il libro. Tanti i documenti, da “Eucarestia e ricostruzione morale della società” per la Quaresima 1947 al documento “L’Episcopato calabro contro la mafia, disonorante piaga della società” del 1975 (con il ringraziamento dei vescovi a quanti ogni giorno “rischiando perfino la vita, sono seriamente impegnati a contenere la violenza di tante criminose azioni”), fino al Direttorio “Per una nuova evangelizzazione della pietà popolare” del 2015, passando per “Testimoniare la verità del Vangelo” del 2014.

“La ‘ndrangheta è la negazione del Vangelo”,

dicevano i vescovi calabresi a Paola nel 2004. In contrapposizione a essa, c’è “il rispetto della vita, la dignità di ogni persona, l’impegno per il perseguimento del bene comune”.

C’è, tutto questo, in Calabria. C’è “una fede cristiana ricca di valori”, come si legge nel documento del 2015. “C’è una pietà liturgica” e una tradizione che si fa doppia, perché respira a due polmoni, latino e greco. C’è una forza missionaria ad intra e ad extra che si fa carità, sollievo, negli ospedali, nelle carceri, a favore dei tanti migranti che arrivano. In un rapporto costante con le Istituzioni, offrendo sempre una mano tesa a chi voglia cambiare strada. Perché, per concludere con le parole di mons. Bertolone, “proprio l’annuncio di pentimento e di conversione, che risuona particolarmente durante l’Anno giubilare straordinario della misericordia, è il vero e autentico antidoto ad ogni mafia, ad ogni camorra, ad ogni Cosa nostra, ad ogni ‘ndrangheta”.