XXV Rapporto Caritas/Migrantes

Immigrati in Italia: oltre 5 milioni, una presenza “stabile”. Il 41% sono “working poor”

Non è vero che siamo di fronte ad una “invasione” perché le cifre sono pressoché stabili – con una crescita annuale di soli 11mila immigrati nel 2015 – e iniziano i primi cali di presenze nel Nord Est, nelle Marche e in Umbria, a causa della crisi. E’ la fotografia della popolazione straniera in Italia – i dati sono riferiti al 2015 – descritta nel XXV Rapporto immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes.

Più della metà degli oltre 5 milioni di immigrati residenti in Italia (l’8,2% della popolazione) sono donne (52,7%). Frequentano le nostre scuole, lavorano nelle nostre aziende, case o campagne eppure guadagnano il 30% in meno degli italiani; spesso sono sfruttati o costretti a lavoro nero o “grigio”. Il 41,7% rientra nella categoria dei “working poor”, una cifra altissima se comparata a quella degli italiani (14,9%) e le donne sono le più penalizzate. Il 41,3% degli immigrati in Italia sono romeni, albanesi e marocchini anche se in Italia sono presenti ben 198 nazionalità. Non è vero che siamo di fronte ad una “invasione” perché le cifre sono pressoché stabili – con una crescita annuale di soli 11mila immigrati nel 2015 – e iniziano i primi cali di presenze nel Nord Est, nelle Marche e in Umbria, a causa della crisi. E’ la fotografia della popolazione straniera in Italia – i dati sono riferiti al 2015 – così come descritta nel XXV Rapporto immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes presentato oggi a Roma. Un volume di 500 pagine che racconta il fenomeno sociale più importante del nostro tempo, oramai divenuto strutturale in tutti gli ambiti sociali. I relatori hanno voluto sfatare i tanti pregiudizi che ruotano intorno all’immigrazione e rinnovare le richieste necessarie per una vera integrazione sociale: l’approvazione della legge sulla cittadinanza secondo lo “ius soli”, il diritto di voto, misure di sostegno al reddito anche per gli immigrati, l’abbassamento delle tasse su permessi di soggiorno e cittadinanza. Tema dell’edizione di quest’anno: “La cultura dell’incontro”.

Una mappa contro la disinformazione. Quasi il 60% degli immigrati vive nelle regioni del Nord. Le regioni con il più alto numero di presenze sono Lombardia (23%), Lazio (12,7%), Emilia Romagna (10,7%) e Veneto (10,2%). Nell’area Ue-28 gli stranieri residenti sono 35,2 milioni, con un aumento del 3,6% rispetto al 2014. Di questi, il 21,5% vive in Germania, il 15,4% nel Regno Unito, il 14,3% in Italia, il 12,4% in Francia. Caso singolare è il calo dei residenti stranieri in Spagna, diminuiti del 4,8% e in Grecia. Nel 2014 sono state registrate 129.887 acquisizioni di cittadinanza italiana, con una crescita del 29%. Prevalgono le acquisizioni da parte dei marocchini e degli albanesi, presenti da più tempo in Italia. Nell’anno scolastico 2014/2015 erano 814.187 gli alunni stranieri nelle scuole italiane, di cui 445.534 nati in Italia, questi ultimi aumentati del 7,3% rispetto all’anno precedente. Rappresentavano il 9,2% della popolazione scolastica italiana, con una crescita annuale dell’1,4%, segno di un insediamento stabile con la famiglia. Da sfatare l’equazione immigrazione uguale criminalità: gli stranieri in carcere sono molto meno di quanto si pensi. Su un totale di 52.164 detenuti gli stranieri sono il 33,24% del totale (17.340), una cifra in diminuzione rispetto al 2009 quando erano il 37,1%.

“Abbiamo bisogno degli immigrati”. “La strage di Dacca (ma non solo quella) ha inferto un colpo decisivo all’equazione – data per scontata dagli imprenditori della paura – tra immigrazione e terrorismo” perché “gli attentatori non sono praticamente mai gente arrivata in Belgio, in Francia o in Bangladesh con i barconi” ma “giovani rampolli di famiglie note e di ampie possibilità economiche”. Al contrario “l’immigrazione – sul piano meramente economico – conviene; anzi ne abbiamo perfino bisogno”. Lo ha ribadito monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. Facendo riferimento all’episodio di Porto d’Ascoli (alcuni bulli hanno picchiato due giovani venditori di rose del Bangladesh perché non sapevano rispondere a domande sul Vangelo), mons. Galantino ha definito questi fatti “una lettura stupida e distorta del Vangelo in cui a integralismi si risponde con integralismi e a violenza con altra violenza. È un danno gravissimo ideologizzare il Vangelo”. Inoltre, ha fatto notare, “l’uso di alcune parole (invasione, emergenza, crisi…) non aiuta certamente ad affrontare correttamente le trasformazioni in corso” ma “contribuisce, piuttosto, a falsare i dati reali e ad allargare la forbice tra percezione e realtà del fenomeno migratorio: 30% la percezione; 8,2% i numeri reali”. Il segretario generale della Cei ha fatto anche riferimento agli effetti della Brexit: “Se le premesse restano quelle finora note, si fa fatica a credere che si possa riuscire a vedere un’Europa capace di scrollarsi di dosso il fiato pesante di lobby ben organizzate e in grado di smettere di essere ostaggio di gruppi di pressione fortemente ideologizzati e quindi capaci di fronte in maniera efficace a chi si presenta con l’arroganza e la violenza supportate dal proprio integralismo”.

Per favorire l’integrazione sociale. Caritas italiana, tramite monsignor Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, ha chiesto, tra l’altro, l’approvazione della legge sulla cittadinanza che giace al Senato, misure di sostegno economico come il Reis (Reddito di inclusione sociale) per tutti, “italiani o stranieri che siano” e il diritto di voto alle amministrative per i cittadini stranieri residenti. Mentre la Fondazione Migrantes, come ha ricordato il direttore generale mons. Giancarlo Perego, ha smentito chi “continua a parlare di ‘invasione inarrestabile’ in riferimento a 130mila richiedenti asilo e rifugiati accolti nelle diverse città e regioni del nostro Paese: falsificazioni che impediscono ancora una adeguata politica dell’immigrazione”. Monsignor Guerino Di Tora, vescovo ausiliare di Roma e presidente della Fondazione Migrantes, ha concluso sottolineando che “gli immigrati non possono essere qualificati solo come lavoratori. Il ricongiungimento familiare, una politica familiare attenta alle nuove famiglie miste, sempre più crescenti, è un luogo fondamentale da tutelare nella costruzione di una cultura dell’incontro”.