Sociale e sanità
La Camera approva la legge sugli educatori professionali prevedendo obbligatoriamente la laurea per tutti, distinguendo le competenze e gli ambiti e regolando la fase transitoria. Il provvedimento passa ora all’esame del Senato, ma gli operatori sul campo esprimono perplessità, chiedono maggiore chiarezza e ricordano che il prendersi cura della persona deve essere una scelta “vocazionale”
Con 263 voti favorevoli, 2 contrari e 134 astenuti, la Camera dei deputati ha approvato nei giorni scorsi il testo unificato delle proposte di legge “Disciplina delle professioni di educatore professionale socio-pedagogico, educatore professionale socio-sanitario e pedagogista” che ora dovrà passare all’esame del Senato. Laurea obbligatoria per tutti: il provvedimento si potrebbe sintetizzare in questi termini. Per la relatrice Milena Santerini (Democrazia solidale-Centro democratico), “finalmente viene riconosciuto a 150mila educatori e pedagogisti un ruolo adeguato, valorizzato e qualificato”. Per Vanna Iori, deputata Pd e prima firmataria del testo, il provvedimento riconosce e regolamenta il lavoro svolto da chi si occupa “delle categorie sociali più fragili: minori, anziani, disabili, detenuti, immigrati, tossicodipendenti”.
Previste due figure: anzitutto l’educatore professionale socio-sanitario (nuova denominazione dell’attuale “educatore professionale”), che si occupa di assistenza sanitaria e percorsi riabilitativi nei servizi e presidi sanitari e sociosanitari, la cui attività rimane disciplinata dal decreto del ministero della Sanità n. 520/98 che prevede già un diploma di laurea in Professioni sanitarie della riabilitazione conseguito presso la facoltà di Medicina. Il secondo profilo è l’educatore professionale socio-pedagogico che subentra all’attuale “educatore”, dovrà conseguire la laurea in Scienze della formazione e dell’educazione, e potrà svolgere servizio, insieme al pedagogista, nell’ambito socio-educativo, socio-assistenziale e socio-sanitario, limitatamente agli aspetti socio-educativi. Se la legge verrà approvata senza modifiche da Palazzo Madama, gli educatori sociopedagogici privi di laurea in servizio potranno completare la propria formazione con un corso universitario (anche a distanza) di 60 crediti. Con 50 anni di età e almeno 10 di servizio, oppure con almeno 20 anni di servizio, sarà possibile acquisire automaticamente la qualifica.
Dubbi e perplessità vengono sollevati dagli operatori sul campo che auspicano modifiche al testo chiedendo maggiore chiarezza nella distinzione delle competenze e degli ambiti. Per Francesa Di Maolo, presidente dell’ Istituto Serafico di Assisi, centro di eccellenza nella riabilitazione, ricerca e innovazione medico scientifica per ragazzi con disabilità plurime, “definire in modo chiaro e professionalizzante la figura dell’educatore professionale socio-pedagogico metterà fine a tanta confusione in materia,
ma in nessun caso il corso di laurea in pedagogia e scienze dell’educazione può avere un valore equivalente a abilitante alle professioni sanitarie. Le due figure sono distinte e con formazioni distanti”.
L’educatore sociosanitario, ci spiega Di Maolo che ha seguito da vicino il percorso del ddl partecipando ad un incontro alla Camera e avanzando alcune richieste di modifica del testo, recepite solo in parte, “è un professionista della riabilitazione in grado di elaborare progetti riabilitativi/educativi nell’ambito di un percorso terapeutico.
Occorre escludere in maniera tassativa l’eventualità che questi progetti possano essere programmati e realizzati da figure non sanitarie e a ciò non abilitate. Su questo il testo non è sufficientemente chiaro”.In merito alle disposizioni transitorie, la presidente dell’ Istituto visitato il 4 ottobre 2013 da Papa Francesco, definisce “una follia” il mero requisito dei 50 anni di età per l’acquisizione automatica del titolo. “Avevamo chiesto che l’età anagrafica fosse accompagnata da un percorso di aggiornamento, ma la richiesta non è stata accolta”. Il rischio è che “persone che escono dal mercato del lavoro a 55 anni e si ricollocano in strutture come la nostra grazie alle agevolazioni legate agli under 25 e agli over 55, svolgano per un paio di mesi l’attività di educatori e conseguono il titolo”.
Anche per Michele Loiudice (componente della Consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali) il ddl “utilizza denominazioni ‘originali’” e “risulta poco chiaro quando declina i servizi in cui l’educatore professionale socio-pedagogico potrà operare”. Il provvedimento servirà a “tranquillizzare” l’opinione pubblica preoccupata dai maltrattamenti e abusi in asili nido, case accoglienza, istituti per anziani e disabili? “A fronte di questi episodi, inaccettabili ma per fortuna rari, migliaia di operatori spendono ogni giorno in silenzio la propria vita per gli altri. I servizi alla persona non sono un mercato ma luoghi di valori e di relazioni.
La capacità di incarnare i valori e costruire relazioni non si improvvisa, non deriva dal tratto di penna del legislatore, ma da un percorso umano e professionale”.Lavorare in sanità “non deve essere un ‘sacrificio’ in cui il paziente è uno scocciatore ma una scelta ‘vocazionale’”, e “non sono i controlli dei Nas o le videocamere a costruire la qualità del prendersi cura”. E’ tuttavia auspicabile “una riflessione più ampia e approfondita” perché “l’assetto sociale sta cambiando con una rapidità di cui non c’è consapevolezza”.
“Occorre prepararsi e non inseguire il cambiamento; serve maggiore qualificazione, non un educatore tuttologo”.
Quale l’impatto del provvedimento sul sistema delle comunità? “Molto dipenderà dai meccanismi di accreditamento e qualificazione dei servizi adottati dalle Regioni e dai Comuni. Il ddl precisa che per le amministrazioni pubbliche interessate non vi è l’obbligo di erogare servizi socio-educativi aggiuntivi rispetto a quelli stabiliti dalla legislazione vigente”, ma “la preoccupazione è che si possa perseguire una logica del massimo ribasso” con “una dotazione organica generica per contenere il più possibile i costi del personale”.