Vita consacrata
75 priori provinciali dei Frati predicatori sono radunati in questi giorni nel capoluogo emiliano. Caratteristica fondamentale dell’Ordine, che lo distingue dagli altri, è l’esercizio del governo tramite lo strumento della democrazia che deve mirare alla unanimità del consenso. “E sappiamo che quando si tende alla ricerca del consenso – spiega fra Fausto Arici, priore provinciale della Provincia San Domenico in Italia -, il rischio è prendere decisioni poco incisive”. La fatica di prendere decisioni e la gestione dei conflitti
Può un Ordine religioso vecchio di otto secoli essere ancora oggi un modello di riferimento per l’esercizio della democrazia all’interno della Chiesa? Un indizio arriva dai 75 priori provinciali dei Domenicani che in questi giorni sono radunati a Bologna per il Capitolo generale. È prassi antica, infatti, che una legge per essere approvata ed entrare nel libro delle Costituzioni debba ricevere l’approvazione di tre assemblee capitolari successive. Benché l’Ordine dei Frati predicatori abbia una struttura gerarchica, come si addice agli Istituti religiosi di Santa Romana Chiesa, la caratteristica fondamentale che lo distingue dagli altri è proprio l’esercizio del governo tramite lo strumento della democrazia: “Naturalmente non bisogna fraintendere il termine con l’accezione laica o politica. È una democrazia singolare – precisa fra Fausto Arici, priore provinciale della Provincia San Domenico in Italia -, che deve mirare alla unanimità del consenso. E sappiamo che quando si tende alla ricerca del consenso, il rischio è prendere decisioni poco incisive”.
Bilanciamento dei poteri. L’Ordine gode di un “regime bicamerale”, con assemblee generali differenti per composizione ma con uguali poteri e diritti. La prima è formata dai responsabili del governo delle provincie (Capitolo dei provinciali), la seconda dai rappresentanti della base eletti nei Capitoli provinciali (Capitolo dei definitori). Ogni Capitolo ha facoltà di proporre una legge e di approvare o non approvare la legge proposta dal Capitolo precedente. Affinché sia i superiori provinciali che i rappresentanti della base contribuiscano alla formazione di una legge, è prevista l’alternanza dei Capitoli.
La sfida è assumere decisioni gravose senza lasciare nessuno indietro.
Nessuna egemonia della maggioranza, dunque, anche se alla prova dei fatti i numeri contano: “A differenza di uno Stato di diritto – osserva fra Arici -, che presuppone un rapporto di lealtà del singolo con la legge, nella vita religiosa alla radice della democrazia c’è una relazione di autenticità con il Signore. È questa la nostra peculiarità”. Fra Arici è un giovane frate con una laurea in Scienze politiche e un dottorato in Storia delle Dottrine politiche conseguiti prima di entrare nell’Ordine. Docente di Teologia morale alla Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, è stato eletto priore ad appena quarantuno anni.
La Provincia San Domenico in Italia (Domenicani del Nord Italia) conta circa 140 religiosi e 12 case, tra conventi e domus che arrivano fino in Turchia: “È faticoso dover prendere decisioni che impattano sulla vita dei confratelli”, confessa. Quanto all’esercizio della democrazia, la pratica comporta non poche fatiche: “Ma questi sono i tempi dell’accoglienza. La preoccupazione è che tutti procedano insieme”.
Conflitti e autonomia. Anche tra le mura dell’Ordine fondato da san Domenico di Guzmán non mancano i conflitti. “Esistono in ogni consesso umano e questo è naturale”, prosegue fra Arici: “Il conflitto è gestito a livello di rapporti interpersonali e con strumenti di governo, ma soprattutto viene vissuto in un contesto di fraternità e preghiera. Talvolta, come da antico istituto del nostro governo, anche in un contesto liturgico. Il conflitto, infatti, può trovare una soluzione in quello che un tempo si chiamava ‘Capitolo delle colpe’, ovvero un momento di confronto e di misericordia tra i frati”.
L’Ordine prevede tre livelli fondamentali: il convento, la provincia e il maestro, che è garante dell’universalità e ha un ruolo importante:
“A differenza delle altre Congregazioni, il nostro maestro sceglie autonomamente i collaboratori in curia. È una evoluzione normale, un bilanciamento della struttura democratica del governo. L’autorità deve avere almeno quel tanto di libertà operativa”. È al Capitolo generale, infatti, che anche il maestro deve rendere conto. Ed è sempre il Capitolo – detentore dei poteri legislativi, giudiziari, esecutivi – che potrebbe finanche deporre, indipendentemente dalla data di scadenza del mandato, lo stesso maestro.
Missione. La sinodalità, che è la “dimensione costitutiva della Chiesa” nelle parole di Papa Francesco, può “ispirarsi anche al modello di governo dei Domenicani”. Perché ciò si realizzi, aggiunge il priore, “è importante la dimensione dell’inclusione nel processo decisionale, non solo da un punto di vista umano ma soprattutto perché diventi segno di una determinazione che vuole costruire davvero il Regno”. Durante il Capitolo generale in corso, che cade nell’ambito delle celebrazioni per l’VIII centenario della fondazione dell’Ordine, si discute di semplificazione nelle forme di governo e di missione:
“Una missione che vuole essere autentica e autenticamente radicata nell’oggi, attenta alle periferie e alle frontiere, capace di abbracciare le fragilità e di sconfiggere la violenza con la mitezza”.