Arte
Una “cattedrale nel deserto”, in un quartiere borderline con altissimi livelli di microcriminalità, torna al centro della comunità grazie all’iniziativa del parroco don Gerardo Ippolito: un enorme murales che percorre i 260 metri di muro che cingono chiesa e oratorio, opera alla quale hanno partecipato dodici tra i più importanti street artist italiani
Una chiesa unanimemente considerata opera d’architettura contemporanea tra le più importanti e significative di Puglia, realizzata dall’architetto Franco Purini, esponente di punta del Neorazionalismo italiano, e sede di opere di arredo sacro firmate da maestri del calibro di Mimmo Paladino, fondatore della Transavanguardia, e di Armando Marrocco. Ma anche una “cattedrale nel deserto”, in un quartiere borderline, con altissimi livelli di microcriminalità. Rischia di diventare questo il complesso parrocchiale San Giovanni Battista di Lecce ma don Gerardo Ippolito, parroco della chiesa, non ci sta e cerca sempre nuove forme di dialogo con i giovani del quartiere. L’ultima trovata è un enorme murales che percorre i 260 metri di muro che cingono chiesa e oratorio. Un’opera alla quale hanno partecipato dodici tra i più importanti street artist italiani. Un progetto che porta il nome di “An urban art project – Il muro che unisce”.
La bellezza salverà il mondo. Lo diceva Fedor Dostoevskij, lo ribadiva don Tonino Bello e ora lo riafferma don Gerardo. Perché il primo input che si può dare ad una comunità, specialmente agli adolescenti, è quello visivo, estetico. “Vedevo ogni giorno questo muro bianco e vuoto – dice don Gerardo -. Volevo allora farlo diventare un mezzo di comunicazione per la gente del quartiere. Un murales come forma espressiva che poteva parlare ai giovani era l’idea giusta. Così insieme all’Accademia di Belle Arti abbiamo fatto una specie di gara partecipativa e da lì sono arrivati i migliori writer d’Italia”. Un obiettivo non semplice visto il contesto in cui si trova il complesso parrocchiale, la Zona 167, o come tutti la chiamano “Le Vele”. Area di edilizia popolare ad alto rischio e con pesanti livelli di microcriminalità, dove la chiesa, seppur rispettata, viene ignorata.
“In genere i muri servono per dividere ma noi invece abbiamo voluto unire la parrocchia al quartiere e il quartiere alla città. Abbiamo voluto unire gli animi. La gente semplice, le mamme che passavano, gli operai, si fermavano a vedere e rimanevano colpiti dalla bellezza di queste opere”.
Writer di fama internazionale hanno firmato i murales che ora adornano il complesso. Dado, Kerotoo, Fenix Asar, Peeta, Made, Cheone, Crea, Corn 79, Etnik, Cekos Art, Camardo e Davide, questi gli artisti che hanno espresso profondamente il proprio Io, insieme alle voci della strada: “Gli artisti hanno chiesto ai bambini del quartiere cosa gli passava per la mente, per rendere ancora più partecipativa l’opera, e hanno così riportato le parole dei bambini – spiega don Gerardo -. Ma la particolarità è che nei disegni la luce arriva sempre dalla chiesa. Anche la scelta dei colori non è casuale. Lungo tutto il percorso si va dal nero fino al giallo in una intensità che sfuma e che vuole dare calore all’ambiente grigio dei palazzi popolari. Poi i ragazzi hanno voluto esprimere sempre il tema dell’unione con disegni di mani che si stringono o di una donna che offre al sole, a Dio, il quartiere”.
Le vie del Signore sono infinite. Ma la particolare esperienza del quartiere 167 non sembra terminare qui. Vista la bellezza delle opere anche commercianti e residenti ora vogliono fare risplendere i loro palazzi grigi della stessa bellezza della chiesa: “C’è ora l’idea di dipingere intere facciate di palazzi del quartiere. Un modo anche per elevare l’area. L’unica farmacia, ad esempio, ha chiesto di far dipingere la facciata del proprio negozio. Poi l’impatto visivo di un quartiere può essere un piccolo passo per riqualificarlo”. Ma le strade di Dio sono davvero misteriose, perché dodici artisti, slegati da ogni ritualità ecclesiastica, hanno riscoperto in questa esperienza il proprio cammino spirituale. Come spiega don Gerardo “i writer non erano legati alle forme rituali della Chiesa, però ho visto una rettitudine umana, un’attenzione dell’uno verso l’altro incredibile.
Era evidente una sensibilità religiosa ‘laica’, un grande rispetto reciproco.
Ho visto un clima di fraternità che raramente ho notato in altre occasioni”. E alla fine, nel momento dei saluti, è scappata anche qualche lacrimuccia. L’amore e la fratellanza li hanno accolti. Così la speranza per la gente del quartiere 167 di Lecce è che questo dono che hanno ricevuto faccia da volano per altre esperienze che rendano la chiesa di San Giovanni Battista un nuovo punto di riferimento imprescindibile per la loro quotidianità.