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Cucina: in Italia cresce l’esercito dei pizzaioli stranieri

Un tempo c’era la pizza margherita. Oggi ci sono una grande quantità di varianti per uno dei cibi italiani più amati nel mondo. Un tempo quando si pensava a coloro che realizzano questa prelibatezza si associava immediatamente l’immagine di un pizzaiolo napoletano. Oggi non è più così. In giro per l’Italia sono tante le pizzerie nelle quali, da proprietari o da semplici lavoranti, sono stranieri, per lo più egiziani, ma anche pakistani o europei dell’Est, coloro che materialmente impastano farina e acqua per realizzare le pizze che noi gustiamo. Questi ragazzi rubano il lavoro ai nostri? O sono, piuttosto, questi ultimi a lasciare campo libero agli stranieri perché è duro sudare vicino a un forno rovente?

Un tempo c’era la pizza margherita. Oggi ci sono una grande quantità di varianti per uno dei cibi italiani più amati nel mondo. Un tempo quando si pensava a coloro che realizzano questa prelibatezza si associava immediatamente l’immagine di un pizzaiolo napoletano. Oggi non è più così. In giro per l’Italia sono tante le pizzerie nelle quali, da proprietari o da semplici lavoranti, sono stranieri, per lo più egiziani, ma anche pakistani o europei dell’Est, coloro che materialmente impastano farina e acqua per realizzare le pizze che noi gustiamo.A Milano e Bologna le pizzerie gestite da uno straniero sono ormai la metà, a Torino è straniera più di una pizzeria su tre e a Roma una su cinque. Sono dati che emergono da una elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese 2016 relativi alle imprese attive nelle città di Milano, Roma, Bologna, Torino e Napoli nel settore della ristorazione.

Solo Napoli, “regno della pizza” per antonomasia, si difende da questo nuovo trend: infatti, i pizzaioli stranieri sono meno di uno su cento.

E come potrebbe essere altrimenti in una città che viene rappresentata con la pizza e il mandolino? Che i pizzaioli a Napoli siano originari del luogo non fa notizia, dunque!
Ritorniamo, però, ai dati italiani in generale, lasciando da parte lo specifico partenopeo. Una prima reazione all’avanzata degli stranieri in questo settore potrebbe essere una sensazione di dispetto: mentre i nostri giovani restano seduti sul divano a guardare in tv “Masterchef”, “La prova del cuoco”, “Alice Master Pizza” e le altre trasmissioni fortunate del genere, ci sono loro coetanei che, venuti da lontano, lavorano nelle pizzerie e giorno dopo giorno guadagnano il loro posto al sole…
Ma è veramente così? Questi ragazzi rubano il lavoro ai nostri? O sono, piuttosto, questi ultimi a lasciare campo libero agli stranieri perché è più comodo sognare di diventare un grande cuoco o un grande pizzaiolo dal salotto di casa, invece di stare davvero a sudare vicino a un forno rovente? Per non parlare poi degli altri sacrifici, come rinunciare a una vita sociale come quella degli altri giovani. Si lavora la sera tutta l’estate, si lavora durante le feste comandate, sia Natale, Capodanno, Pasqua o Ferragosto, si lavora di sabato e domenica. Insomma, ti puoi scordare l’happy hour con gli amici o la discoteca il sabato sera, come pure il week-end fuori casa… E, ancora: è un lavoro frenetico, soprattutto quando i tavoli sono pieni e fioccano le ordinazioni.

I nostri giovani sono pronti a tutto questo? Raggiungere il successo attraverso sudore e sacrifici?

Forse, come nel caso di altri mestieri, anche quello del pizzaiolo rischierebbe di perdersi, se non ci fosse un esercito di volenterosi stranieri pronti a tutto pur di guadagnarsi da vivere. E, poi, come in altre questioni della vita, sono necessarie anche una “vocazione” a questo tipo di lavoro, tanta creatività e idee innovative per presentare, in una veste sempre nuova, un piatto che piace a tutti. Creatività e innovazione che possono aiutare anche a svecchiare questo mestiere, per restare al passo con i tempi, senza perdere i trucchi del passato che rendono la pizza così buona.

Chi è pronto ad accettare la sfida? A Napoli e dintorni, e non solo, ci sono tanti disoccupati. Raccoglieranno il guanto?

Agli intenditori, infine, l’ardua sentenza: sono ugualmente buone la pizza tradizionale, preparata, ad esempio, nei locali del centro storico di Napoli, e quella cucinata da pur valenti mani, ma non altrettanto esperte?