Analisi
Parla Carlo Meletti, responsabile del Centro pericolosità sismica dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv): “Dobbiamo aspettarci una sequenza sismica molto lunga, per diversi mesi, com’è accaduto a L’Aquila e anche due-tre scosse molto forti. Questo non è un fatto eccezionale, ma è una caratteristica dei terremoti dell’Appennino italiano. In Emilia, per esempio, è accaduto dopo otto giorni”. La prevenzione, aggiunge, “richiede tempi lunghi e molti investimenti. Ma si pensi al risparmio di vite umane che si otterrebbe!”
Purtroppo non è finita, sono prevedibili altre scosse anche forti, paragonabili per entità a quella che ha devastato i paesi montani a cavallo tra Lazio e Marche. Carlo Meletti, responsabile del Centro pericolosità sismica dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), lo dice chiaramente: “Dobbiamo aspettarci una sequenza sismica molto lunga, per diversi mesi, com’è accaduto a L’Aquila – spiega – e anche due-tre scosse molto forti. Questo non è un fatto eccezionale, ma è una caratteristica dei terremoti dell’Appennino italiano. In Emilia, per esempio, è accaduto dopo otto giorni”.
Lei ha citato il terremoto de L’Aquila ed è il confronto che in questi momenti siamo tutti portati a fare, vista la prossimità geografica dell’epicentro. È un confronto sensato?
Sì, in effetti ci sono delle caratteristiche simili. Tutto il settore dell’Appennino centrale ha un andamento analogo dal punto di vista sismico. In entrambi i casi
si tratta di terremoti di tipo ‘distensivo’, avvengono cioè per l’allontanamento di due settori dell’Appenino che vanno verso l’Adriatico a velocità diverse.
Sono simili anche per la magnitudo. Del resto conosciamo bene queste zone e anche quest’ultimo terremoto non ci ha sorpresi. Basti pensare che già nel 1639 c’era stato proprio in quest’area un terremoto confrontabile per entità.
Però di prevedere i terremoti ancora non si parla, vero?
Non abbiamo strumenti per prevedere i terremoti, nel senso di sapere in anticipo e con precisione quando e dove avverranno. Però conosciamo le zone pericolose dal punto di vista sismico e questo ci può consentire di fare della prevenzione, che è attualmente l’unica strada concretamente percorribile. Certo, la prevenzione richiede tempi lunghi e molti investimenti. Ma si pensi al risparmio di vite umane che si otterrebbe! E mi lasci dire che anche
in termini economici i vantaggi sarebbero enormi: è stato calcolato che per ogni euro investito in prevenzione si risparmiano cinque euro di ricostruzione.
I terremoti degli ultimi cinquant’anni ci sono costati una cifra che rapportata a oggi vale 150 miliardi di euro e in parte li stiamo ancora pagando, magari attraverso le accise sui carburanti. Non sono scelte che competono a noi geologi, evidentemente, ma come cittadini è giusto che segnaliamo la questione.
Esistono in Italia delle Regioni che possono essere considerate esenti dal rischio di terremoti?
Regioni sicure al cento per cento non esistono. L’Italia, ma direi tutto il Mediterraneo centrale, è molto attiva dal punto di vista geologico. Persino la Sardegna, che solitamente viene indicata come immune dal rischio sismico, in realtà qualche terremoto l’ha avuto. Proprio quest’anno ricorre il centenario di un sisma del 1616 che provocò dei danni al duomo di Cagliari. Nella sacrestia c’è ancora oggi una targa che ricorda quell’evento. Però sappiamo che ci sono aree a bassissima pericolosità sismica – oltre alla Sardegna penso, a titolo di esempio, al Salento o a una parte della Lombardia – e soprattutto conosciamo quelle in cui il rischio è elevato. È da quelle che si dovrebbe cominciare a lavorare subito per la prevenzione. Ma prevenire è anche informare e in questo ognuno può fare la sua parte: come Ingv anche quest’anno i nostri esperti saranno in 1.400 piazze per incontrare i cittadini e aiutarli a conoscere la situazione dei luoghi in cui vivono e alcune regole di comportamento utili.