Dopo il sisma

Terremoto e territori. I sacerdoti restano un punto di riferimento affidabile

Col terremoto cambia tutto. Lo Stato è presente, le strade si aggiustano velocemente, una soluzione ai problemi la si trova. Sembra quasi che la Costituzione sia saltata fuori dalla carta. A un tratto “i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” hanno preso corpo. Eppure si assiste a una frammentazione e una dispersione di vite, cui la Chiesa non sembra rassegnarsi. Non è un caso se le frazioni più sperdute tornano ad animarsi in occasione delle feste patronali. Tutti sanno che il prete non ha lasciato, che la chiesa è rimasta aperta, che la messa viene celebrata pure per quattro anime

Mi è venuto in mente che al giorno d’oggi l’implacabile logica di contenimento della spesa spinge per togliere servizi pubblici ai piccoli centri. Dicono che il costo per abitante è troppo alto. E allora la scuola nel paese non ci può più stare, oppure tira aria di chiudere l’ospedale.
Lo sanno bene ad Amatrice e dintorni. Pare ieri che si lottava per mantenere il “Grifoni”. Poi in qualche modo gli amatriciani l’hanno spuntata, anche se il sisma non ha risparmiato il presidio sanitario.

Ma col terremoto cambia tutto. Lo Stato è presente, le strade si aggiustano velocemente, una soluzione ai problemi la si trova. Sembra quasi che la Costituzione sia saltata fuori dalla carta. A un tratto “i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” hanno preso corpo.

E allora viene da chiedersi perché questo impegno riesca nell’emergenza, ma non trovi spazio nell’ordinaria amministrazione. Tanti piccoli centri, troppo spesso, sono come dimenticati. Quando, invece, sono un motore vitale del Paese. Tutti i giornali in questi giorni hanno raccontato la volontà delle donne e degli uomini di Amatrice e Accumoli di restare. Nonostante il dramma che stanno vivendo, sono ancora innamorati delle loro montagne.
È una scelta importante per tutti. Vuol dire che seguiteranno a presidiare territori fragili, a rendere attuali le tipicità agricole e alimentari, a custodire le tradizioni, gli stili di vita e la comunità. Una forma di resistenza che li accomuna a tutti i cittadini che ancora scelgono di vivere nelle zone rurali. Pure se oramai si presentano come piccole isole lontane, aliene alle rotte delle grandi navi.
Quando l’emergenza sarà definitivamente passata, sarà il caso di ragionare su una generale inversione di tendenza. Perché è vero che i servizi chiudono quando mancano le persone, ma è anche vero che le persone vanno via perché non trovano servizi. Succede in gran parte della provincia di Rieti, lo si vede in molte altre parti del Paese.

Una frammentazione, una dispersione di vite, cui la Chiesa non sembra rassegnarsi. Non è un caso se le frazioni più sperdute tornano ad animarsi in occasione delle feste patronali. Tutti sanno che il prete non ha lasciato, che la chiesa è rimasta aperta, che la messa viene celebrata pure per quattro anime. I sacerdoti rimangono un punto di riferimento affidabile.

Lo si è visto anche ad Amatrice e Accumoli, in questi giorni difficili. I “don” hanno avuto un ruolo centrale perché sono radicati nel territorio: le conoscono le famiglie, le case, i beni culturali. Nella notte del 24 agosto, quando la terra ha tremato, li ho subito chiamati. A pochi minuti dalla prima scossa erano già all’opera, tra i primi ad aiutare, a cercare di capire, ad organizzare. E nella confusione del momento ho come sentito che anche questa terribile volta ce la possiamo fare.