Guerra in Siria
Monsignor Audo, vescovo caldeo di Aleppo, presidente di Caritas Siria, commenta le parole di papa Francesco all’udienza generale di ieri. Parlando di Aleppo il Pontefice ha lanciato un forte monito ai responsabili dei bombardamenti, “dovranno dare conto davanti a Dio”. Parole libere e senza paura che riportano alle memoria quelle simili di san Giovanni Paolo II del 1993 e del 2003. La preoccupazione per l’emergenza umanitaria e quella per la sorte della minoranza cristiana. “Non vogliamo soldi, non vogliamo cibo, vogliamo solo pace”, dice mons. Audo, convinto che la pace può essere raggiunta solo dai siriani con l’aiuto dell’Onu. Ma la forza più imponente in campo oggi è quella di Mammona. “Chiediamoci – è la denuncia del vescovo – chi produce armi nel mondo”.
“Il Papa ha la libertà della parola, non ha interessi politici o economici. La sua è una parola libera e personale, priva di paura, che si eleva ogni volta davanti alle violenze. Si indirizza alla coscienza delle persone e, a livello internazionale, sa bene cosa dice”. Così monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria, commenta le parole pronunciate da Papa Francesco durante l’udienza di ieri (28 settembre). L’ennesimo vibrante appello per “l’amata e martoriata Siria”. “Continuano a giungermi notizie drammatiche sulla sorte delle popolazioni di Aleppo, alle quali mi sento unito nella sofferenza, attraverso la preghiera e la vicinanza spirituale”, ha detto il Papa, parlando a braccio: “Nell’esprimere profondo dolore e viva preoccupazione per quanto accade in questa già martoriata città – dove muoiono bambini, anziani, ammalati, giovani, vecchi, tutti – rinnovo a tutti l’appello a impegnarsi con tutte le forze nella protezione dei civili, quale obbligo imperativo e urgente”. E poi il monito, fermo, severo, diretto
“alla coscienza dei responsabili dei bombardamenti che devono dare conto davanti a Dio”.
Tornano alla memoria le forti e analoghe parole di condanna delle guerre di Giovanni Paolo II, nel suo discorso del 16 gennaio 1993, ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, riuniti per la presentazione degli auguri per il nuovo anno: “La distruzione morale e fisica dell’avversario o dello straniero è un crimine; l’indifferenza pratica di fronte a simili modi di agire è un’omissione colpevole; coloro che si lasciano andare a queste angherie, coloro che le suscitano o le giustificano ne risponderanno non soltanto davanti alla comunità internazionale, ma più ancora davanti a Dio”. Condanna reiterata successivamente anche nel 2003.
Monsignor Audo in questi giorni è in Italia per partecipare a una serie di incontri presso la sede di Caritas Internationalis dove è chiamato a relazionare sulla drammatica situazione in cui versa il suo Paese e, in particolare, la città di Aleppo, capitale economica della Siria, più popolosa di Damasco, e da anni al centro di aspri combattimenti tra le forze leali al regime, che ne controllano la parte Ovest, e i ribelli “islamici” che detengono la parte Est. Ed è su questa zona “dove vivono 250mila siriani”, dice mons. Audo, che ci sono i problemi più gravi. “Si tratta dell’area controllata da ribelli islamici che dall’inizio della guerra, cercano di entrare in città, dalla parte vecchia, per occuparla. Da una settimana l’esercito regolare attacca con aerei e la situazione a livello umanitario è molto grave”. Nella parte ovest, quella sotto controllo governativo, le condizioni non sono migliori. “In circa 2 milioni – spiega il presule caldeo – siamo senza elettricità e acqua da 5 anni. Veniamo giornalmente bombardati dai ribelli con bombe e razzi”. Ma non è il fuoco incrociato delle parti in lotta a rappresentare l’emergenza principale ad Aleppo, né tantomeno la carenza di acqua, medicine e cibo. “La cosa più grave – afferma senza mezzi termini mons. Audo – è
la morte che è diventata una cosa naturale, normale. Una spirale di violenza, di odio e di istinti terribili invade i luoghi e le persone e deve essere assolutamente fermata”.
Ma è difficile. “Le responsabilità sono molteplici e internazionali – dice il presidente di Caritas Siria – e coinvolgono le dimensioni economiche e geopolitiche.
Le potenze internazionali fanno la guerra sulla terra dei siriani. Mammona, il denaro, è la prima forza in campo in Siria. Il Papa ha parlato spesso del commercio di armi. Ecco, chiediamoci chi produce armi nel mondo”.
Intanto Caritas Siria prosegue nel suo impegno nel Paese. “Non facciamo distinzioni tra cristiani e musulmani, siamo presenti in tutte le regioni e facciamo sforzi nel campo medico, dell’istruzione, dell’assistenza agli anziani, aiutiamo i profughi a pagare affitti ai profughi, diamo cibo”. Tra l’incudine e il martello si trova la minoranza cristiana: “Noi cristiani perdiamo tutto, la presenza sul territorio e la nostra storia. Nessuno chiede di noi. Come posso dire ai cristiani di non partire, di non emigrare… Come Chiesa facciamo di tutto per mantenere viva questa presenza bella di cristianità orientale araba, ma nello stesso tempo capisco la sofferenza della mia gente che si ritrova povera di tutto, dopo aver vissuto per secoli con dignità e onestà.
Non vogliamo soldi, non vogliamo cibo, vogliamo solo pace”.
L’appello di mons. Audo alla comunità internazionale è chiaro: “Operi per la pace e tutto si sistemerà. La pace è possibile ma deve venire dall’interno della Siria, dai siriani che vogliono vivere in pace. Sedersi ad un tavolo con l’aiuto dell’Onu è possibile”. Sperando che non sia troppo tardi.