Tortura
La mostra fotografica al Maxxi di Roma (fino al 9 ottobre) per iniziativa della Federazione nazionale stampa italiana, di Amnesty international, di Focsiv, Unimed, Un ponte per e Articolo 21. Caesar è lo pseudonimo attribuito a un ex ufficiale della polizia militare siriana che ha defezionato a gennaio del 2014, riuscendo a portare all’estero circa 55mila scatti che documentano la morte e le torture subite dai detenuti nelle carceri siriane tra il 2011 e il 2013
No. Non sono foto scioccanti. Sono la drammatica realtà quotidiana di quello che è accaduto nelle carceri siriane tra il 2011 e il 2013. Immagini che documentano, con precisione, la morte e le torture subite dai prigionieri lì detenuti. Ventri squarciati, nasi tumefatti, crani spaccati, corpi bruciati, difficili da riconoscere, volti privati di occhi ma che sembrano guardarti lo stesso. Corpi denutriti, a malapena coperti nelle parti più intime, ammucchiati uno sull’altro dopo essere stati avvolti in teli di plastica trasparente. Corpi senza età, con e senza barba, capelli bianchi sporchi di sangue, e capigliature più giovani rese ancora più brune dal sangue raggrumato. Lasciati a terra, a braccia larghe come crocifissi, nell’ultima posa della loro vita.
No. Non sono foto scioccanti i circa 55mila scatti che denunciano la macabra routine dell’orrore voluta dal regime di turno, quello siriano di Assad, nelle sue carceri. Amnesty International riferisce di quasi 18mila siriani morti sotto tortura dall’inizio delle rivolte e della guerra. Dopo essere state esposte al Palazzo di Vetro di New York, al museo dell’Olocausto di Washington e al Parlamento Europeo, alcune di queste foto sono visibili in questi giorni a Roma (fino al 9 ottobre) al Maxxi nella mostra intitolata “Nome in codice: Caesar – Detenuti siriani vittime di tortura”, voluta dalla Federazione nazionale stampa italiana, Amnesty international, Focsiv, Unimed, Un ponte per e Articolo 21. Caesar è lo pseudonimo attribuito a un ex ufficiale della polizia militare siriana che ha defezionato a gennaio del 2014 riuscendo a portare all’estero le immagini del terrore che lui stesso aveva scattato sin dal 2011, inizio della rivolta in Siria. Il compito di Caesar era quello di documentare la morte.
Oggi queste foto, così come quelle delle vittime del carcere iracheno di Abu Grahib, sono ancora più preziose perché non solo documentano ma denunciano e forniscono anche la prova che sono stati commessi dei crimini contro l’umanità.
Le foto di Caesar sono un forte atto di accusa contro crimini analoghi del passato e del presente, non solo siriano. Un monito a non tenere gli occhi chiusi davanti a tutto ciò e a non indietreggiare davanti alla difesa dei diritti umani. No. Non sono immagini scioccanti, ma solo la prova di una macabra routine che la storia continua a raccontare senza, purtroppo, insegnare nulla.