Lavoratori africoli sfruttati

Mai più schiavi: la legge sul caporalato è un passo di civiltà

E’ stata approvata ieri a Montecitorio, in via definitiva, la legge Martina-Orlando contro il caporalato, che introduce pene più severe, confisca dei beni e altre misure innovative contro chi sfrutta i lavoratori nel settore agricolo. Un traguardo importante per creare una cultura della legalità e dare dignità alle persone.

E’ all’insegna dello slogan “mai più schiavi nei campi” che il governo canta oggi vittoria, vista la rapida approvazione, meno di un anno, della nuova legge su lavoro nero e caporalato. Una legge fortemente sollecitata da sindacati, associazioni di settore, volontariato, che denunciavano da tempo le condizioni di grave sfruttamento e a volte violenza, offensive della dignità umana, in cui versano almeno 400.000 lavoratori, soprattutto migranti, nelle campagne italiane. Lavoratori che si spostano da una regione all’altra per raccogliere arance, pomodori, mele, ortaggi, a seconda di ciò che la stagione offre in quel periodo, pagati poche decine di euro al giorno, senza nessun tipo di tutele e in condizioni durissime.

Ma siccome la natura propone e l’uomo dispone, in Italia si sono moltiplicate nell’anno le situazioni difficili da gestire come il ghetto di Rignano in Puglia, gli scontri con la popolazione a Rosarno, i casi di prostituzione, violenza e disagio abitativo nelle serre del ragusano.

Quasi sempre il terzo settore, il volontariato e i sindacati hanno cercato di sopperito alle carenze, organizzando iniziative di sostegno ai lavoratori sfruttati, come i 18 presidi territoriali della Caritas italiana nell’ambito del “Progetto Presidio”, tra cui il campo della Caritas di Saluzzo per i lavoratori africani che raccolgono frutta o le numerose attività di sostegno e consulenza della Caritas di Ragusa. Dall’inizio del progetto ad oggi almeno 3.900 lavoratori sono stati aiutati ad emergere dallo sfruttamento.

Ora la legge, che riscrive le norme precedenti, introduce pene più severe non solo per i “caporali” che reperiscono i lavoratori (reato di intermediazione illecita) ma anche per le aziende e i datori di lavoro (da 1 a 6 anni di carcere, aumentabili fino a 8 se c’è violenza e minaccia e multe da 1.000 a 2.000 euro).

La gravità della situazione viene stabilita sulla base di “indici di sfruttamento” molto più semplificati: è tanto più grave se sussistono salari bassi e sproporzionati rispetto a qualità e quantità di lavoro, violazioni delle norme sulla sicurezza, su ferie e periodi di riposo, condizioni alloggiative degradanti e metodi di sorveglianza.

Condizioni aggravanti sono un numero superiore a 3 lavoratori reclutati, la presenza di minori e l’esposizione a situazioni di grave pericolo.

Altri aspetti innovativi sono la possibilità di confisca dei beni delle aziende agricole (come avviene per le organizzazioni criminali mafiose), gli interventi di sostegno ai lavoratori (sportelli per l’immigrazione, centri per l’impiego e soggetti abilitati al trasporto di persone), l’arresto in flagranza e l’estensione del Fondo antitratta anche alle vittime del delitto di caporalato, visto che le persone sfruttate nei lavori agricoli sono reclutate con gli stessi mezzi illeciti.

La legge sul caporalato è quindi un passo importante per depotenziare il fenomeno dello sfruttamento e creare una cultura della legalità.

Ora, dopo il plauso all’unisono sono in molti a chiedere che all’approccio repressivo sia affiancata anche la prevenzione, facendo conoscere la legge ai soggetti coinvolti e promuovendo la qualità del buon cibo made in Italy. E soprattutto, che la legge venga applicata.