Anno Santo Straordinario
Leggiamo l’Anno Santo che si avvia a conclusione, mettendo in evidenza i gesti compiuti dal primo Papa latinoamericano in quei “venerdì della misericordia” che hanno riproposto, alla memoria corta del nostro tempo, quelle sette opere corporali e spirituali che appartengono alla tradizione della Chiesa
Se c’è un fil rouge che lega il cammino del pontificato di Papa Francesco, è proprio la misericordia, tema centrale delle sue riflessioni, dei suoi discorsi e documenti; è la chiave di un messaggio che obbliga tutti noi a fare i conti con l’immagine di un Dio troppo spesso etichettato come un castigamatti, sovrano vendicativo e giudice impassibile. Francesco invece ci dice che Egli è il Signore “misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore” come leggiamo nel Salmo 145, Inno alla potenza e alla provvidenza di Dio. La misericordia è, dunque, la bussola, il filo conduttore, “il messaggio più forte del Signore”, come dice nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, appena eletto Papa. Di più,
la misericordia è il nome stesso di Dio.
È quel modo di agire, quello stile, la misericordia, “con cui cerchiamo d’includere nella nostra vita gli altri, evitando di chiuderci in noi stessi e nelle nostre sicurezze egoistiche”. E l’inclusione è un aspetto della misericordia, ha spiegato il Papa, che “si manifesta nello spalancare le braccia per accogliere senza escludere, senza classificare gli altri in base alla condizione sociale, alla lingua, alla razza, alla cultura, alla religione”.
Partiamo da qui per leggere l’Anno Santo che si avvia a conclusione, mettendo in evidenza i gesti compiuti dal primo Papa latinoamericano in quei “venerdì della misericordia” che hanno riproposto, alla memoria corta del nostro tempo, quelle sette opere corporali e spirituali che appartengono alla tradizione della Chiesa.
È un lungo elenco iniziato con l’apertura della Porta Santa all’ostello della Caritas alla stazione Termini di Roma: “La strada della presunzione, la strada delle ricchezze, della vanità, dell’orgoglio, non sono strade di salvezza”. Una porta che si apre sul mondo dei tanti scartati dalla società, perché è lì su quei volti che troviamo il volto di Gesù. Volti come quelli che ha incontrato nel suo primo viaggio da Papa, a Lampedusa, quando ha coniato il termine “globalizzazione dell’indifferenza” che è suonato come un forte monito per un’Europa che costruisce muri, che si volta dall’altra parte per non vedere il dramma delle moltitudini che rischiano la vita scappando da guerre e violenze e spesso trovano solo nuova emarginazione.
Lui, Francesco, non solo vede e racconta questo dramma, ma si rende vicino a queste donne, uomini e bambini andando a trovarli al Centro di accoglienza di Castelnuovo di Porto, perché, come dice nell’omelia pronunciata in quel Giovedì Santo, Messa in Coena Domini, “i gesti parlano più delle immagini e delle parole”. Così lava i piedi a undici richiedenti asilo, tra cui tre musulmani, e a un’operatrice del Centro: “Siamo diversi, siamo differenti, abbiamo differenti culture e religioni, ma siamo fratelli e vogliamo vivere in pace”.
Sarà poi a Lesbo, l’isola greca che accoglie nel Centro, che il Papa visita, 2.500 profughi. Con lui il patriarca ecumenico Bartolomeo e l’arcivescovo ortodosso di Atene Ieronymos: siamo venuti, dice Francesco, “semplicemente per stare con voi e per ascoltare le vostre storie. Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione. Come uomini di fede, desideriamo unire le nostre voci per parlare apertamente a nome vostro. Speriamo che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità… sappiamo per esperienza quanto è facile per alcune persone ignorare le sofferenze degli altri e persino sfruttarne la vulnerabilità”.
Nel mondo, scriveva Papa Francesco nella Misericordiae vultus, “quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti”; e ancora “quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi”.
I gesti più delle parole.
Così è a metà gennaio tra gli anziani della casa di riposo Bruno Buozzi per dire il suo no alla cultura dello scarto, alla società che emargina una parte della sua popolazione. E nello stesso giorno testimonia il grande valore della vita umana e della dignità con la quale deve essere sempre rispettata, anche nelle condizioni più estreme, visitando Casa Iride, una struttura che accoglie sette persone in stato vegetativo assistite dai loro familiari.
Ancora, incontrando persone con grave disabilità mentale nella comunità Chicco a Ciampino. O i malati in fase terminale dell’hospice Villa Speranza della Fondazione Gemelli e quanti si trovano nel pronto soccorso dell’Ospedale San Giovanni di Roma, il 16 settembre; i sacerdoti sofferenti per diverse forme di disagio, e gli anziani ospiti della comunità Monte Tabor. In questo suo viaggio speciale nelle ferite dell’umanità Francesco è anche accanto a un gruppo di donne ex prostitute aiutate in questo loro cammino dalla Comunità Giovanni XXIII.
L’ultimo venerdì della misericordia Francesco lo dedica a quei preti che hanno lasciato il sacerdozio per formare una famiglia, per offrire un segno di vicinanza e di affetto a loro che hanno compiuto una scelta spesso non condivisa dai loro confratelli sacerdoti e familiari. Perché la Chiesa è chiamata “a curare le ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, a fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta”.