Concistoro
Francesco non vuole nella Chiesa una raffigurazione scenica che attragga teatralmente. Richiede che si vada all’osso e lo si consumi integralmente: “Caro fratello neo Cardinale, il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella quotidianità della vita spezzata e condivisa, di una vita spesa e donata. Nel dono quotidiano e silenzioso di ciò che siamo. La nostra vetta è questa qualità dell’amore; la nostra meta e aspirazione è cercare nella pianura della vita, insieme al Popolo di Dio, di trasformarci in persone capaci di perdono e di riconciliazione”
Tempo di grandi ed epocali mutamenti il nostro. Tempo che richiede una nuova maturità identitaria che può sbloccarsi e diventare creativa nello Spirito solo se abbandona vecchi schemi e altrettanti vecchi pregiudizi.
Se interroghiamo il nostro immaginario e gli sottoponiamo la parola cardinale, quale lo schema? Quale il pregiudizio?
Probabilmente sarebbe necessario nominare, oltre all’Eminenza paludata, anche la coorte di caudatari, con comodo di seggiolino nella sala del tronetto.
Schema nuovo, di puro stampo evangelico. Abbattimento del pregiudizio del cardinale, visto come persona innalzata ad una dignità, ben distante dalla plebe, foss’anche plebe di fedeli.
La mistagogia di Francesco non solo è nitida ma tagliente. Il programma di vita per i neo cardinali non propone loro vacanze ai tropici con amaca oppure ricevimenti fastosi in cui vengono incensati dalla boria altrui.
Il cammino dal monte alla pianura esprime a chiare lettere il consumarsi dell’esistenza in dedizione, ecco allora il perché della porpora.
Non quella dell’Impero romano ma quella dei martiri del Colosseo, quella di chi sulla frontiera è il primo ad esporsi al nemico e sulla nave l’ultimo ad abbandonarla.
Quattro imperativi? In realtà quattro chiodi mistagogici che crocifiggono il futuro di questi nostri fratelli con i quali vogliamo condividere il peso oneroso e farlo diventare, per alchimia d’amore, il leggero e soave giogo evangelico:
“Potremmo dire che sono quattro tappe della mistagogia della misericordia: amate, fate il bene, benedite e pregate”.
Francesco per dono di Spirito Santo e per esperienza propria non è un ingenuo, chiunque, anche semplice battezzato e non promosso neo-cardinale, non avrebbe alcun problema nell’aderire a questa scuola mistagogica.
Il nodo invece è insolubile e invalicabile se non si lascia trapassare dalla gratuità che scava nella vita e la consuma:
“Il problema sorge quando Gesù ci presenta i destinatari di queste azioni, e in questo è molto chiaro, non usa giri di parole né eufemismi. Amate i vostri nemici, fate il bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male”.
Qui cade l’asino. Quell’asino che è la persona umana quando non guarda al Signore Gesù e non si consegna alla forza plasmatrice della Parola. Anche se paludato in vesti di porpora.
“Il nemico è qualcuno che devo amare. Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Dio ha solo figli”.
La condivisione illimitata, senza restrizioni, senza retro pensieri, del dono di Dio nell’esistenza che si spreca e, magari, si ritrova ammaccata. In ogni e qualsiasi circostanza. Con ogni e qualsiasi persona che ci rifiuta.
Il Signore vuole che miriamo a donare e non badiamo ai possibili ostacoli, neppure all’esito di successo. Ben venga il fracasso se stracolmo d’amore. Radicati in una certezza:
“Nessuna mano sporca può impedire che Dio ponga in quella mano la Vita che desidera regalarci”.
L’elenco non è difficile, salta immediatamente all’occhio:
“Ci capita di attraversare un tempo in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti”.
Scendere dai privilegi, dai troni, dai paludamenti effimeri: Francesco non vuole nella Chiesa una raffigurazione scenica che attragga teatralmente. Richiede che si vada all’osso e lo si consumi integralmente:
“Caro fratello neo Cardinale, il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella quotidianità della vita spezzata e condivisa, di una vita spesa e donata. Nel dono quotidiano e silenzioso di ciò che siamo. La nostra vetta è questa qualità dell’amore; la nostra meta e aspirazione è cercare nella pianura della vita, insieme al Popolo di Dio, di trasformarci in persone capaci di perdono e di riconciliazione”.
Con un simile programma, non converrebbe rifiutare la porpora? Penso proprio di sì, con un problema però emergente: bisognerebbe indossare la veste del tradimento che rinnega l’elezione, quella chiamata che porta a vivere come Lui, come il Signore Gesù.
Il lussuoso isolamento in appartamenti protetti e distinti non si addice a chi veste la porpora evangelica. Bisogna vivere nella pianura, vestiti come tutti, uniti a tutti.
Comunque, fratelli neo cardinali, non vi lasciamo soli, vi siamo vicini e condividiamo la discesa e la pianura. Condivideremo anche la porpora, nella misura in cui ci verrà donata, nella modalità che lo Spirito, da sempre, per noi ha predisposto.
Con mani che vogliono essere pulite, soccorritrici e oranti.