Giornata internazionale
“Raggiungere i 17 Obiettivi per il futuro che vogliamo” è il tema della Giornata internazionale delle persone con disabilità, che si celebra sabato 3 dicembre. Sulla situazione nel nostro Paese abbiamo raccolto il parere di Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, centro che svolge attività riabilitativa, psicoeducativa e assistenza socio-sanitaria per bambini e ragazzi con disabilità fisiche, psichiche e sensoriali. Il 4 ottobre 2013 Papa Francesco, in visita ad Assisi, incontrò i ragazzi dell’Istituto
Sabato 3 dicembre si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale delle persone con disabilità. Il tema di quest’anno è “Raggiungere i 17 Obiettivi per il futuro che vogliamo”, in riferimento ai 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile e alla loro importanza per la costruzione di un mondo più inclusivo ed equo anche per le persone con disabilità. Quest’anno la Giornata è anche l’occasione per celebrare il decimo anniversario dall’approvazione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. A Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, centro che svolge attività riabilitativa, psicoeducativa e assistenza socio-sanitaria per bambini e ragazzi con disabilità fisiche, psichiche e sensoriali, abbiamo chiesto un parere su qual è la situazione oggi in Italia.
Alcuni degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile riguardano da vicino il mondo della disabilità, ad esempio il contrasto alla povertà, il garantire salute e benessere a tutti, un’educazione di qualità, inclusiva e paritaria… In Italia a che punto siamo?
Rispetto agli Obiettivi di sviluppo sostenibile del futuro, in Paesi anche vicini al nostro si fa fatica proprio a concepire il disabile come persona. In Italia, invece, sotto il profilo dell’inclusione e dell’occupazione si sono fatti dei passi in avanti: infatti, noi siamo sorretti da una cultura che tiene sempre alta l’attenzione sulla persona, a cui sono seguite negli ultimi anni delle leggi all’insegna dell’inclusione. Da noi il cammino è stato lungo e importante, ma in Italia, come in altri Paesi europei, c’è un aumento della povertà, anche di quella sanitaria, su cui occorre riflettere: ci troviamo di fronte a un sistema che non riesce più a rispondere a tutti i bisogni. C’è, poi, un altro problema.
Quale?
Sta cambiando il tipo di disabilità: anche nell’età evolutiva sta crescendo in modo esponenziale il disturbo del comportamento e psichiatrico. Questo è segno di una società in cui non abbiamo più legami forti. Anche a causa di questa perdita di relazioni l’uomo si ammala.
È molto più difficile fare politiche di inclusione per persone che soffrono di disturbi comportamentali.
Qui non c’è legge che valga per promuovere l’inclusione o l’occupabilità perché è un problema che si risolve agendo sulla cultura e sulle relazioni, su tutti quegli organi intermedi che a volte saltano nell’accogliere la persona. La società si evolve: dovremmo, quindi, rivedere politiche e interventi.
Quest’anno è anche il decimo anniversario dell’approvazione della Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità…
Avere la consacrazione di un diritto a livello formale è importante, ma a volte resta sulla carta: una cosa è proclamare un diritto e un’altra consentirne l’esercizio, come succede proprio con il diritto di uguaglianza e gli altri diritti basilari, ad esempio il diritto di partecipazione a tutte le sfere che compongono la società, all’accesso scolastico, alla libertà di circolazione – abbiamo mezzi e treni vecchi -, situazioni su cui ancora dobbiamo lavorare molto.
Quali sono le maggiori sfide in Italia?
Sul fronte culturale dobbiamo renderci conto delle nuove forme di disabilità e di fragilità.
La difficoltà è quella di riuscire a fare rete.
Tante volte trattiamo la disabilità per categoria: oggi invece la persona vive diverse fragilità che la isolano. Rispetto alla sordità, c’è il problema annoso della lingua Lis che ancora non ha avuto un suo riconoscimento. Ancora tanto dobbiamo fare per abbattere i muri dell’incomunicabilità. Soprattutto dobbiamo ripensare le città e gli spazi vissuti dalle persone: forse, dovremmo cambiare gli occhi con cui guardiamo la realtà che ci circonda, non pensandola secondo la cultura dell’efficientismo che considera le persone perfette. L’uomo per sua natura è fragile. Dobbiamo quindi pensare spazi abitati da persone reali che vanno incontro a fragilità. In Nord Europa s’incontrano tanti disabili, non perché ce ne siano di più in percentuale ma perché tutti gli spazi pubblici sono a misura di persone. Servono, dunque, politiche che possano sempre di più consentire l’inclusione e la partecipazione effettiva alla vita e politiche per le famiglie che al loro interno hanno disabili o persone fragili, quali possono essere anche gli anziani. Quando ci si rapporta con la parte pubblica le famiglie vengono viste come un costo, non si guarda alla grande risorsa che rappresentano come baluardo della vita: perciò vanno sostenute. Già questo sarebbe un passo in avanti.
Qual è la strada giusta per una vera inclusione?
La strada giusta è mettere al centro l’uomo. Questo si può e si deve fare in ogni spazio.
Occorre progettare tutta la vita sociale mettendo al centro la persona reale che è fragile.
Come ci invita a fare Papa Francesco (che ha visitato l’Istituto Serafico il 4 ottobre 2013, ndr). A volte non mi piace neanche il termine di inclusione, preso alla lettera, perché evoca la diversità. In realtà, gli uomini sono tutti diversi, ma in quella diversità c’è una grandissima risorsa. Se non diamo a tutte le persone la possibilità di incontrarsi e di partecipare alla vita perdiamo veramente tanto. Io a contatto con bambini e ragazzi con disabilità mi sono riappropriata di tanti valori, iniziando a vedere la vita con più semplicità e a gustarla attraverso tutti i sensi: chi non vede riconosce le voci e si fa scorrere il mondo sotto le dita, lo riconosce e ne prova emozione. Chi non ha l’udito mi ha insegnato a soffermarmi sui volti delle persone. Chi sta su una carrozzina e ha una mente vivace, anche se è bloccato riesce a farti volare. Ognuno di loro mi fa rivedere la vita da ogni angolo: è un’esperienza arricchente. Queste persone straordinarie c’insegnano poi il grande valore della relazione, che cercano più di altri dando ad essa il vero valore.