Inclusione

Senza dimora. Partire dalla casa per restituire dignità, autonomia e fiducia

Oggi a Torino i primi risultati del programma nazionale di sperimentazione Housing First della Fiopsd: 510 persone in mini appartamenti stanno ritrovando dignità, autonomia e fiducia grazie a 33 progetti pilota avviati in tutto il Paese. Dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali 50 milioni per il  triennio 2016-2019. Ma è importante anche lavorare sul territorio per abbattere i pregiudizi

Anche nell’emarginazione più grave c’è sempre una possibilità di riscatto, una capacità di ritrovare la fiducia in se stessi riappropriandosi della propria dignità e della propria vita. Per non essere più “invisibili” e ricominciare. E tutto parte da una scommessa. Il 1° marzo 2014 la Federazione italiana organismi per le persone senza fissa dimora – Fiopsd (110 realtà fra Caritas diocesane, Comuni, enti religiosi, cooperative sociali, l’associazione Emmaus e la Fondazione Arca) che quest’anno compie 30 anni, lancia a Torino il Programma nazionale di sperimentazione dell’Housing First che prevede l’inserimento diretto di homeless in appartamenti per favorirne in modo graduale l’autonomia e l’integrazione, invitando i servizi che lavorano sulla grave marginalità a portare avanti iniziative e progetti ispirati a questo approccio innovativo. Grazie al network Housing First Italia, è stata data una casa a oltre 500 persone che vivevano un grave disagio abitativo (senza dimora croniche, adulti soli, famiglie senza casa, padri soli, ex detenuti…). E proprio a Torino, dove tutto è iniziato, oggiin occasione della Conferenza Internazionale Housing First promossa da Fiopsd, verranno presentati i primi risultati e le buone pratiche, e verranno messe a fuoco le sfide. Trentatré i progetti pilota avviati, da Acireale a Pordenone. Tema dell’appuntamento, che non a caso sintetizza l’obiettivo della Federazione, “C’è solo una strada: la casa”. E intanto, dopo il volto di Richard Gere, la campagna #HomelessZero ha una nuova testimonial: l’attrice americana Susan Sarandon.

Da sperimentazione a realtà strutturata. Lo scorso 4 ottobre è stato pubblicato sul sito del ministero del Lavoro e delle politiche sociali il primo avviso di bando per finanziare azioni a favore delle persone senza dimora, da realizzare nel periodo 2016-2019. Le risorse stanziate ammontano complessivamente a 50 milioni di euro e serviranno, spiega la presidente di Fiopsd, Cristina Avonto, “a portare avanti interventi mirati per il potenziamento della rete dei servizi, per il sostegno materiale alle persone senza dimora e per formulare misure innovative di accompagnamento verso l’autonomia”. In altre parole, per

“tradurre in azioni concrete la campagna #HomelessZero: da sperimentazione a realtà strutturata”.

Partire dalla casa. Ad anticipare al Sir un primo bilancio di questi primi mesi sono Paolo Molinari, ricercatore sociale dell’Istituto di ricerche economiche e sociali del Friuli Venezia Giulia (Ires-Fvg), e Massimo Santinello, docente del Dipartimento di psicologia dello sviluppo e della socializzazione all’Università di Padova. La sperimentazione è attiva in dieci regioni (Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Calabria e Sicilia) e al network Housing First Italia partecipano 53 realtà fra Comuni, enti ecclesiastici o religiosi, cooperative sociali e altre organizzazioni ascrivibili a soggetti del no profit che erogano direttamente servizi di contrasto alla grave marginalità.

Al 30 marzo 2016 erano 510 le persone accolte, in una condizione di salute fisica e mentale “sotto la media generale della popolazione italiana”: 343 adulti e 167 loro figli. Il 68,2% sono maschi; 73 le famiglie.

Sono 176 gli alloggi utilizzati, il 29,6% condivisi da più persone; il 60% acquisito nel libero mercato immobiliare, il 21% nelle disponibilità delle organizzazioni del network, il 19% recuperato dal patrimonio immobiliare pubblico.

Verso l’autonomia e l’integrazione. A distanza di sei mesi dell’ingresso in appartamento, spiega Molinari, “il 76% dei soggetti accolti dichiara di avere incontrato persone per un caffè o pranzare/cenare insieme, il 63,8% ha fatto amicizia con nuove persone, e il 38,3% ha partecipato a un evento organizzato dalla comunità”. L’80,85% dichiara di “sentirsi a casa nel luogo in cui vive”. Uno dei punti qualificanti del percorso verso l’autonomia “è la compartecipazione alle spese”. Dopo un po’ infatti, il 47% degli adulti coinvolti nei programmi riesce a concorrere alle spese del progetto personale. Eugenio, quasi 60 anni, calabrese, sposato e con un figlio, si separa nel 1996 e da quel momento inizia la discesa nel tunnel tra strada e alcol. A lanciargli un’ancora di salvezza a Rimini, dove nel frattempo “si è rifugiato”, è l’Associazione Papa Giovanni XXIII che lo accoglie e inserisce in un’abitazione, assistendolo e lavorando sulla sua autonomia. Eugenio si fida, inizia un percorso per disintossicarsi ed ora gestisce autonomamente la casa cucinando anche per i volontari. Simile il percorso di Anna, badante dell’est che dopo avere perduto il lavoro ed essere rimasta vedova precipita in una spirale di solitudine e alcol. Ad accoglierla, sempre a Rimini è la “Capanna di Betlemme” che dopo un po’ le offre un’abitazione autonoma. Oggi ha ripreso a lavorare, mente la Giunta del Comune riminese ha stanziato 70mila euro per i progetti Housing first per il triennio 2017 – 2019. Roberto vive invece a Verona in un mini appartamento messo a disposizione dalla Cooperativa sociale “Il Samaritano” nata nel 2006 come segno del Convegno ecclesiale scaligero. “Ora – spiega molto semplicemente – ho delle basi di serenità che mi aiutano ad essere meno solo. Avere i miei spazi di privacy mi fa stare bene ma mi aiuta anche a integrarmi con gli altri”. “Il mio declino è stato enorme”, confida un ospite da quattro mesi dell’ Opera San Francesco per i poveri, fondata a Milano dai padri cappuccini che dal 2014 partecipa al progetto Housing first. Il nostro interlocutore, che preferisce restare anonimo, dice:

“la strada ti inghiotte come il mare”.

Importante, spiegano gli operatori, lavorare anche sul territorio per aumentare il senso di appartenenza e abbattere i pregiudizi: “Dalle parrocchie ai bar, le persone devono sapere che nel loro quartiere è attivo questo progetto”.