Detenuti
15 ore di vera e propria guerra dentro il sistema carcerario Anisio Jobim, nella periferia nord della città, hanno lasciato morte sul campo, secondo gli ultimi dati forniti dalle autorità, 60 persone. Ma i promotori della rivolta, oltre che alla vendetta avevano pensato anche alla propria fuga. Per l’arcivescovo, dom Sérgio Eduardo Castriani, “è dovere dello Stato custodire e garantire l’integrità fisica di ogni detenuto, garantendo le condizioni per l’adempimento della propria pena”
Non una semplice rivolta carceraria, ma un barbaro massacro. Un regolamento di conti portato avanti da due cartelli rivali del narcotraffico con ferocia inaudita, attraverso sevizie, torture, decapitazioni. Così il 2017 si è aperto a Manaus, metropoli brasiliana nel cuore della foresta, capitale dello stato di Amazonas. Con 15 ore di vera e propria guerra dentro il sistema carcerario Anisio Jobim, nella periferia nord della città, che ha lasciato morte sul campo, secondo gli ultimi dati forniti dalle autorità, 60 persone. Ma i promotori della rivolta, oltre che alla vendetta avevano pensato anche alla propria fuga. In 184 avrebbero tentato l’evasione, attraverso i tunnel (ben sedici, sembra) nel frattempo scavati sotto il carcere, un po’ com’era accaduto per la leggendaria evasione di El Chapo in Messico. E 136 ce l’avrebbero fatta a fuggire.
È la punta di un’iceberg. Solo un fatto di cronaca destinato a rimanere isolato? Assolutamente no, piuttosto la punta d’iceberg nel contesto di una città sempre più in mano ai trafficanti di droga e di esseri umani, dove la violenza la fa da padrona. La più clamorosa dimostrazione sullo stato in cui versano le affollate carceri brasiliane (una rivolta simile, il 16 ottobre scorso si era ad esempio verificata nel carcere di Boa Vista, provocando una decina vittime). E il segno tangibile della forza e della ferocia che i cartelli del narcotraffico hanno raggiunto anche in Brasile. Gli scontri, nel carcere di Manaus, sono scoppiati secondo la stampa brasiliana tra i detenuti appartenenti al “Primer Comando de la Capital”, organizzazione criminale di San Paolo, e quelli della locale “Familia do Norte”, alleata a sua volta del cartello di Rio de Janeiro “Comando Vermelho”.
La Chiesa chiede una riforma del sistema carcerario. La reazione della Chiesa, forse l’unica realtà presente sul territorio(a Manaus operano tra l’altro diversi missionari tra cui due sacerdoti fidei donum della Diocesi di Treviso), in grado di dare speranza ai giovani impedendo il loro reclutamento nella malavita, è stata forte e sollecita. Lunedì, subito dopo l’accaduto, il vescovo ausiliare di Manaus, dom Jose Albuquerque Araújo, aveva commentato tra l’altro: “Qui stiamo tutti pregando e ricordando le parole di Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata della pace. In tutte le comunità della nostra arcidiocesi sono state lette, su di esse abbiamo riflettuto e pregato. In effetti, questa è una situazione molto triste e ci lancia una grande sfida per affrontare la situazione nelle nostre carceri con serenità, giustizia, rispetto dei diritti umani e cercando di portare la pace nelle carceri, cosa che non sta accadendo qui a Manaus e nel nostro Paese”. Ieri è arrivata una presa di posizione firmata dall’arcivescovo, dom Sérgio Eduardo Castriani, nella quale si riporta la visione della Pastorale carceraria dell’arcidiocesi, che si pronuncia in difesa della vita e manifesta solidarietà alle famiglie delle vittime. Nel comunicato si sottolinea che “è dovere dello Stato custodire e garantire l’integrità fisica di ogni detenuto, garantendo le condizioni per l’adempimento della propria pena”. La riflessione, si fa notare, è il frutto dell’esperienza quarantennale della pastorale carceraria, e proprio per questo l’arcivescovo può affermare che l’attuale sistema “non recupera il cittadino, ma al contrario permette che il carcere diventi una scuola di criminalità, invece di offrire ai detenuti occasioni di attività occupazionali”. L’arcidiocesi di Manaus “ritiene inoltre che la radice del problema carcerario nello Stato del Rio delle Amazzoni, e in tutto il Brasile, sia la mancanza di politiche pubbliche. La esternalizzazione del lavoro indebolisce il sistema, nel quale il detenuto rappresenta solo un valore economico”. In ogni caso, “non si può non si può rispondere alla violenza con la violenza, ma con la nonviolenza, al fine di creare una cultura di pace”. In quest’ottica, l’arcidiocesi invita tutti i fedeli a una Messa di suffragio per le vittime del massacro, prevista per sabato 7 gennaio alle ore 16, nella basilica dell’Immacolata Concezione.
Una spirale di povertà e violenza. Parole chiare, dunque, che si uniscono ad una presenza sul territorio costante, un segno di speranza che da solo crea disturbo alle bande criminali. Anche la Chiesa italiana ha qualche anno fa pagato un drammatico tributo di sangue con l’uccisione, avvenuta nel 2009, di don Ruggero Ruvoletto, missionario fidei donum della diocesi di Padova. E da quel momento, confidano al Sir fonti ecclesiali di Manaus, la situazione è andata peggiorando, soprattutto in alcuni quartieri nei quali la malavita agisce incontrastata. Secondo la classifica 2015 delle città più violente al mondo diffusa Citizen Council for Public Security and Criminal Justice di Città del Messico, Manaus figurava al 23° posto, con 987 omicidi (47,87 ogni 100mila abitanti) mentre sulle principali 50 città ben 21 erano brasiliane. La specificità di Manaus è dovuta anche alla sua storia recente e alla crisi economica che l’ha colpita. La città, che si trova nel cuore dell’Amazzonia, sul larghissimo rio Negro, praticamente alla confluenza con il Rio delle Amazzoni, ha conosciuto il suo massimo splendore a fine Ottocento per la produzione di caucciù. Dopo un periodo di decadenza la città ha avuto una nuova vivacità dopo l’istituzione, nel 1967, della zona franca. Sono così arrivati capitali e industrie, soprattutto le multinazionali dell’elettronica. Ma anche il porto fluviale sul Rio Negro ha favorito così anche traffici illegali e criminalità. Negli ultimi anni, poi, molte industrie hanno chiuso: la zona franca non era più così conveniente, a fronte degli alti costi di trasporto. In alcuni periodi si è assistito a 300-400 licenziamenti ogni settimana. Così, dentro una povertà crescente, sono rimasti solo i narcotrafficanti. Che stanno trascinando la capitale dell’Amazzonia in una spirale di violenza.